Paolo Franci
Milano
RICORDA

e a volte ripercorre la sua lunga e luminosa carriera con orglio, ci mancherebbe, ma sentirsi definire «ex calciatore» da candidato alla presidenza federale è un un abito fin troppo stretto, per essere indossato nella sfida con Carlo Tavecchio. Rivendica, Demetro Albertini, la sua lunga militanza da dirigente e puntualizza: «Un terzo della mia carriera l’ho fatta in giacca e cravatta: in 14 manifestazioni ho faticato molto più da organizzatore che da giocatore...». Prima vice commissario straordinario della Figc, ai tempi di Calciopoli e Guido Rossi, poi, dal 2007 vice presidente federale nell’era Abete.
Albertini aveva anche annunciato l’addio alla Figc, chiusa l’esperienza da capo delegazione del mondiale brasiliano. Ci ha ripensato perchè, racconta: «Ho ricevuto telefonate e richieste da molti rappresentanti del mondo del calcio che mi spingevano a candidarmi e non solo: la gente me lo chiede per strada e non me l’aspettavo, è una sensazione che ha rafforzato la speranza di poter fare un cambiamento reale».
La sfida è dura e i bookmaker, riporta Agipronews, l’hanno già bollato come sfavorito: Tavecchio presidente si gioca a 1,40, lui a 1,90. Tavecchio ha già in tasca almeno il 51% dei voti tra Lnd e LegaPro e può sfondare il muro del 60%. Ma è chiaro che l’indirizzo politico che arriverà dalla Lega di A (12% dei voti) — dove Albertini sarebbe in vantaggio con 12 club dalla sua, mentre Milan, Lazio, Parma, Udinese, Inter, Genoa e Chievo sarebbero in scia Tavecchio — sarà importante per spostare l’asse da una parte o dall’altra. Albertini ha in tasca i voti di calciatori e allenatori (30%) e punta ai voti di Lega di B (5%) e arbitri (2%) e, magari, conta su uno sfilacciamento nella LegaPro al momento del voto. Un quadro che mantiene Carlo Tavecchio nel ruolo di grande favorito, pur con uno sfidante agguerrito.
Albertini, qualora fosse eletto, chiamerebbe Antonio Conte sulla panchina della nazionale, ritenuto l’uomo ideale anche da Tavecchio, rivoluzionandone ruolo e figura. Ma il ct non è il solo nodo da sciogliere: «Il nostro calcio deve cambiare e guardare ai modelli esteri è logico e non solo sul tema delle seconde squadre. Noi però abbiamo i nostri metodi, i prestiti, le valorizzazioni. Siamo un altro tipo di Paese e il modello tedesco, ad esempio, da noi è inapplicabile, ma l’obiettivo sul tema degli stranieri è centrato, perchè loro pur senza limitazioni d’ingresso, hanno il 34% degli stranieri, contro il 54% che abbiamo noi». Albertini non si ritiene un «politico» e spiega: «Dobbiamo capire cosa dobbiamo essere, se un campionato di passaggio o il campionato più bello del Mondo come negli Anni ‘90: è questo il mio sogno. Ma sul mercato europeo le nostre squadre hanno meno forza contrattuale. Ed è impossibile imporre i cinque italiani in campo, da regolamento».