Ettore Maria Colombo
ROMA
LA NOTIZIA

è nell’inedito corteo di senatori di M5S, Lega e Sel che giunge al Quirinale per protestare contro il contingentamento dei tempi del dibattito sulla riforma di Palazzo Madama. Ma se non fosse per le urla, i sit-in sotto il Colle, le accuse di «morte della democrazia», il punto sarebbe semplice. Renzi vuole andare avanti davvero con le riforme oppure, come inizia a sostenere più di qualcuno, oltre al ‘solito’ pasdaran renziano Roberto Giachetti, ci porterà al voto? Rabbiosi d’indignazione — dopo l’ennesimo ‘giro di valzer’ del presidente del Senato, Pietro Grasso, sul regolamento — quelli che, ormai, si muovono come compatta falange macedone, le opposizioni unite (M5S, Sel, Lega, Gal e dissidenti vari), hanno in testa proprio questo, di assioma. «Renzi — fremeva il senatore ribelle del Pd, Corradino Mineo, l’altro giorno a Montecitorio — ha fallito in tutto, le riforme non si faranno e ci porterà a votare».

LA TESI

— disconosciuta da tutti i renziani di stretta osservanza — ha, in realtà, preso quota. Se ne parla, con insistenza, nei corridoi del Transatlantico. La ‘controprova’ starebbe nel fatto (e qui la voce arriva da Sel) che «il Pd sta alzando il tiro, vogliono buttarci addosso la colpa dell’impasse non solo sul ddl Boschi ma anche su tutti gli altri decreti in scadenza per additarci ai cittadini come i frenatori». Persino lo stesso presidente della Repubblica — che ieri ha fatto ricevere dal suo segretario generale, Marra, snobbandoli di fatto, il fronte unito delle opposizioni andato in corteo al Colle — sarebbe preoccupato da tale ipotesi. Il pressing esercitato su Grasso per ‘contingentare’ i tempi pro-maggioranza e chiudere l’esame del ddl Boschi non oltre l’8 agosto andrebbe in tal senso. «Napolitano — spiega sempre una fonte delle opposizioni — teme che se Renzi non vede la riforma del Senato votata l’8 agosto ci manda in ferie sì, ma poi alla ripresa autunnale ci manda al voto».

A MAGGIOR

ragione suonavano in modo sinistro, ieri, le parole del premier sull’economia nell’intervista al giornalista Alan Friedman (La 7) in cui Renzi per la prima volta ammette guai su quel fronte. Contram tale tesi, però, non c’è solo la legge del buon senso, ma anche l’altro contraente del patto del Nazareno, l’ex Cavaliere, che di andare a votare presto non ha alcuna intenzione. Ieri pomeriggio, Berlusconi ha visto il suo principale competitor interno, l’eurodeputato Raffaele Fitto. «Siamo rimasti ognuno sulle sue posizioni», spiega Fitto ad amici, alla fine del colloquio, ma sempre Fitto stima in «almeno 15» i senatori azzurri dissidenti i cui voti, sommandosi a quelli del Pd e a quelli delle opposizioni unite, farebbero finire ‘sotto’ il governo, naturalmente con il voto segreto. A quel punto, il ddl Boschi come pure le riforme, sarebbero morte e Renzi potrebbe essere, davvero, tentato di portare il Paese al voto (con quale legge elettorale, poi, è del tutto oscuro o tutto da vedere). Ma lo si saprà solo l’8 agosto.