Gabriele Moroni
VARESE
«SONO SERENO.

Non ho niente da dire». Don Antonio Costabile rimane assolutamente fedele alla consegna del silenzio che si è imposto in questi ventisette dolorosissimi anni. Gravato da un peso, segnato dal dubbio. Ventisette anni fino a quando, pochi giorni fa, la procura generale di Milano non ha messo un punto fermo all’inchiesta sulla morte di Lidia Macchi, amica di don Antonio, trovata morta la sera del 5 gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio (Varese), martoriato da 29 coltellate.
Il sostituto pg Carmen Manfredda ha depositato l’avviso di chiusura indagini nei confronti di Giuseppe Piccolomo, un artigiano di 64 anni già all’ergastolo per l’omicidio di Carla Molinari, (il «delitto delle mani mozzate»), il 5 novembre del 2009, a Cocquio Trevisago. Per la posizione di don Costabile è stata chiesta l’archiviazione. «Il prete — è scritto nella richiesta della Procura — ha subito un danno d’immagine per oltre 27 anni».

QUEL GIORNO


di gennaio è un lunedì piovoso. Il 28 febbraio Lidia, secondo anno di giurisprudenza, caposcout e militante di Comunione e Liberazione, avrebbe compiuto 21 anni. All’epoca don Antonio Costabile ha 32 anni. Napoletano di Torre del Greco, è l’assistente spirituale dell’oratorio di San Vittore e l’anima del gruppo scoutistico. È lui a benedire il corpo senza vita, riverso nella Panda della ragazza. Un sussulto cinque mesi più tardi, il 16 giugno.
Tre sacerdoti di Varese e un laico, autorevole esponente del mondo cattolico cittadino, sono convocati in questura. Un quarto prete viene ascoltato in procura: è don Antonio Costabile. Anche se i cinque sono soltanto dei testimoni, la polemica toghe contro tonache si fa subito rovente. Il tritacarne mediatico-giudiziario sprofonda la figura del «prete biondo» in un cono di dubbi. Un coltello da scout che per qualche giorno non si trova. E dov’era don Antonio la sera del 5 gennaio? Riunito con tutti i preti del decanato, lo difende, sicuro, monsignor Riccaro Pezzoni, prevosto di Varese. No, era a casa, in compagnia di un amico siciliano a gustare dolcetti isolani.

E IL BIGLIETTO


trovato nella borsetta di Lidia, che parrebbe la confessione di un amore impossibile? Nel novembre del 1988 Enzo Tortora, che su Raidue conduce «Giallo», lancia la proposta di un test genetico. Siamo agli albori del Dna. Don Antonio offre il suo campione biologico che viene inviato al laboratorio britannico di Abington. La prova fallisce, troppo scarsi i reperti organici sul corpo della vittima.
Pochi anni dopo, Don Antonio lascia Varese per una missione in Uganda, prima di approdare in due parrocchie di Milano. Oggi, a 57 anni, è responsabile della catechesi della diocesi ambrosiana. Dopo che la procura generale ha avocato a sé l’inchiesta sull’omicidio Macchi, la procuratrice Manfredda scopre che il nome dell’uomo per anni al centro dei sospetti non è mai finito nel registro degli indagati della procura di Varese con l’accusa di omicidio. Così il pg iscrive don Antonio ma soltanto per procedere alla richiesta di archiviare. Fine di un ingiusto sospetto. Il prete dai capelli biondi e dal volto sempre sereno può guardare indietro, a questi ventisette anni della sua vita. Una vita surreale da presunto innocente.