Achille Perego
MILANO
Che cosa rischiano i risparmiatori italiani dal nuovo default argentino?
«Il crac del 2001 aveva coinvolto 450mila italiani che avevano investito in bond argentini circa 14 miliardi di dollari. La maggior parte, 400mila circa, aveva aderito alla ristrutturazione del debito, firmando anche una liberatoria che escludeva possibili azioni legali future, perdendo circa il 70% del capitale», risponde l’avvocato Angelo Castelli di Formia, massimo esperto della tutela dei risparmi in Italia con 210 cause vinte e 90 milioni recuperati oltre a essere stato allora il primo e unico ad aver ottenuto il sequestro di 2,5 milioni di beni argentini in Italia.
E adesso perderanno anche quel poco che era rimasto?
«In questa fase è presto per dire che non verranno più rimborsati i nuovi bond né che non riprenda il pagamento degli interessi. C’è da dire però che l’Argentina è purtroppo abituata a non onorare i suoi debiti e prima del 2001 lo aveva già fatto nel 1980. Si può pensare però che Buenos Aires aspetti la scadenza di fine anno per riprendere la trattativa con i fondi che non avevano accettato la ristrutturazione e per i quali la sentenza della Corte Suprema Usa le aveva imposto di pagare 1,5 miliardi di dollari. Il timore del governo argentino era che potessero accodarsi a questa sentenza tutti coloro che non avevano aderito alla ristrutturazione del debito».
Quindi anche i 50mila risparmiatori italiani ‘ribelli’?
«Sì. La sentenza della Corte Usa aveva aperto uno spiraglio anche per chi, in Italia, aveva aderito alla causa internazionale presso l’Icsid, il Comitato nato allora per la difesa degli interessi dei risparmiatori. Anche loro dovranno attendere entro fine anno l’evolversi della situazione».
Quali altre strade restano ai risparmiatori truffati dai tango bond ma anche dai tanti altri crac di questi anni?
«Per l’Argentina, a meno che non sia stata fatta un’azione interruttiva presso la propria banca con l’invio di una lettera in cui si richiamava la non correttezza dell’operato, sono già terminati i 10 anni della prescrizione. Lo stesso per i crac Cirio e Parmalat. Invece per il fallimento Lehman, i bond greci ed eventuali obbligazioni argentine acquistate dopo il 2004, resta aperta la possibilità di fare causa alle banche che hanno venduto quei titoli. Le banche avrebbero dovuto valutare l’adeguatezza dell’investimento e avvertire del rischio i risparmiatori, a maggior ragione se facevano parte del Consorzio Patti Chiari».