Antonella Coppari
ROMA
PER SPIANARE

la strada alla riforma del Senato, Matteo Renzi prova a dividere le opposizioni. Ammorbidisce un po’ gli atteggiamenti rigidi dei giorni scorsi, fa trattare il ministro Boschi con i vendoliani — interessati a mantenere un ponte con il Pd per non morire — sventolando la promessa di interventi non solo sul testo in esame ma anche modifiche sull’Italicum (tipo: soglia del 5% e preferenze, con capolista bloccato). Irrita Cinquestelle e Lega che, facendosi scudo dei metodi spicci utilizzati dal presidente Grasso per chiudere la partita, danno vita ad una sorta di Aventino à la carte (se ne vanno dall’Aula per poi tornare più d’una volta) ma porta a casa l’approvazione dell’articolo 2, che riduce a 100 il numero dei senatori (95 scelti dalle Regioni e 5 dal capo dello Stato), con 194 sì, 26 no e 8 astensioni. Il via libera l’8 agosto non è più una chimera, tanto che il premier — dopo aver riunito i capigruppo di maggioranza anche per fissare l’agenda dei lavori — esulta: «La prossima settimana sarà conclusiva». Si ricomincia dopo domani: il week end verrà utilizzato per approfondire i nodi da sciogliere. Anche in vista dell’incontro tra Renzi e Berlusconi di martedì.

LA GIORNATA

inizia come era terminata quella precedente. Male: perché Grasso — d’intesa con il capogruppo Pd Zanda — non solo stigmatizza i tumulti notturni ma decide un’ulteriore stretta sugli interventi in aula. Come reazione, grillini, vendoliani e leghisti abbandonano l’Aula: «Così il confronto non è garantito», sbotta De Petris, capogruppo Sel mentre il collega M5S si imbavaglia per protesta e Grillo cinguetta su Twitter: «Grasso vergogna».
Il presidente del Senato — sensibile più al pressing di Napolitano sulla necessità di una maggioranza ampia per le regole del gioco che a quello del leader pentastellato — convince Sel e gli stessi grillini a rientrare in Aula. In questo clima viene bocciato l’ultimo emendamento proposto dal Pd Chiti sull’elezione diretta dei senatori: a quel punto, Renzi dà una sterzata. Parla con la Boschi e opta per una mediazione con le opposizioni. Permette al ministro delle riforme di accogliere la richiesta del chitiano Tocci di provare a modificare il testo in Senato, senza attendere il passaggio alla Camera. All’ora di pranzo scatta il time-out: la Boschi incontra Sel cui garantisce disponibilità a trattare su numero di firme per referendum e legge di iniziativa popolare, immunità e platea per eleggere il capo dello Stato. Ma il bersaglio vero è la riforma elettorale: sullo sfondo, si dialoga sulle nuove soglie e sulle preferenze. I tentativi della Boschi si infrangono sul muro di Lega e Cinquestelle; questi ultimi rientrano in aula per poi uscirne di nuovo: «Non partecipiamo più alla discussione». Ce l’hanno con il ministro rea di averli contattati tardi («falso», la replica di Palazzo Chigi) e con Grasso che — per evitare trappole — ha bocciato il voto segreto su un emendamento del Pd Mucchetti. Si arriva così all’approvazione dell’articolo due. E alla lettera di 100 senatori «trasversalmente dissidenti» contro la conduzione dei lavori del presidente...