ROMA
NAOR
Gilon, 50 anni, 4 figli, è l’ambasciatore di Israele in Italia. Prima di occupare la sede di Roma, è stato consigliere negli Stati Uniti e capo di gabinetto del Ministro degli Esteri.
Anche le persone che difendono Israele fanno fatica a capire perché così tanti civili (più di mille) e soprattutto così tanti bambini (oltre 200) siano stati uccisi a Gaza.
«Hamas ha come obiettivo la distruzione di Israele e l’uccisione degli ebrei ovunque essi siano — spiega Gilon —. Molta gente fraintende ciò che sta accadendo e pensa che si tratti di una disputa politica. Non lo è, perché Israele non è presente nella striscia di Gaza dal 2005. Hamas si rifiuta di concludere qualsiasi accordo. Grazie al nostro sistema di difesa Iron Dome, possiamo intercettare i loro razzi, ma questo è anche molto costoso. Ogni razzo bloccato ci viene a costare 50mila dollari, mentre Hamas riceve i razzi gratis dall’Iran o dalla Siria. Insomma abbiamo investito nella difesa molte risorse, per questo abbiamo avuto meno vittime, circa 50. Ma Hamas usa la popolazione civile di Gaza per nascondersi. La loro leadership è al riparo nei bunker, mentre la popolazione civile è fuori».
Usano i tunnel?
«I tunnel sono la nuova minaccia. Il loro progetto finale era costruire dozzine di gallerie dalle quali un giorno sarebbero usciti centinaia di soldati all’interno del territorio ebraico, per macellare adulti e bambini, e prendere molti ostaggi per poi negoziare. Molti di questi tunnel partono dalle case della gente comune, o anche dagli ospedali. Noi avvertiamo la popolazione civile di lasciare le case prima che vengano colpite, mentre i soldati di Hamas al contrario ingiungono alla gente di restare, o addirittura li obbligano a bastonate, o persino li incatenano, come si può vedere dalle foto che circolano su Internet».
La questione rimane. Se voi avete così poche perdite, perché rispondere col fuoco in modo così massiccio?
«Per noi ogni morte è terribile, la morte di un israeliano come quella di un palestinese. Ma la popolazione civile di un Paese occidentale non può vivere in eterno sotto la minaccia dei razzi. Ha visto le foto dei bambini israeliani sdraiati a terra negli asili con le mani sopra la testa per proteggersi? Non possiamo crescere i nostri figli in questo modo. Noi vogliamo una soluzione politica, ma c’è un problema. Nel passato l’Egitto aveva una forte influenza su Hamas. Ma oggi l’Egitto vede Hamas come un nemico poiché il movimento dei Fratelli Musulmani è un nemico, e quindi ha meno influenza su Hamas. Così occorre coinvolgere i Paesi che hanno rapporti con Hamas: il Qatar, che è la banca del terrorismo, l’Iran e la Turchia. Ma questi, invece di intervenire per fermarli, stanno incoraggiando Hamas a continuare».
Tra i Paesi che potrebbero intervenire non ha citato gli Stati Uniti. Pensa che una superpotenza come gli Usa non possa avere voce in capitolo?
«Gli Stati Uniti hanno una minima influenza su Hamas. Ma gli Usa e l’Europa hanno buoni rapporti sia con il Qatar che con la Turchia, e su di loro possono intervenire. Per raggiungere un accordo dobbiamo essere sicuri che Hamas non abbia più razzi, che i tunnel vengano distrutti, che i soldi che arrivano vengano usati per scuole e ospedali e non per costruire tunnel, costati 1,5 miliardi di dollari».
Perché il ruolo diplomatico dell’Italia è così debole?
«Tutto l’Occidente sta diventando più debole perché attraversa una crisi economica e politica. Inoltre l’Occidente ha perso molti alleati. Con i vecchi leader del mondo arabo sapevi come comportarti: a volte usando la forza, a volte le minacce, a volte il business. Con l’anarchia attuale è tutto più difficile. Allo stesso tempo nel Medio Oriente stanno crescendo elementi molto estremisti. Vogliono creare un nuovo Stato islamico, invadere la Giordania, questo è il loro piano. Questa gente un giorno verrà anche in Europa per ristabilire il califfato e dirà: questa terra è nostra».
Non temete l’antisemitismo che si sta manifestando a Parigi, Londra, anche qui a Roma?
«Credo che in Italia sia diverso. Fortunatamente qui la comunità islamica è meno estremista. Nel dopoguerra è sempre stato politicamente scorretto essere apertamente antisemiti. Negli ultimi anni però è cresciuto un altro tipo di antisemitismo. Oggi si dice: non ho un problema con gli ebrei, ma con il sionismo. Però il sionismo rappresenta la costruzione dello Stato di Israele. Abbiamo decine di Paesi che si identificano con la religione cristiana, 55 o 56 Stati musulmani, ma un solo Stato ebreo, che viene attaccato in continuazione. Noi vinceremo questa guerra perché non abbiamo alternative».
Ma i giovani ebrei sono così coinvolti nella guerra? La loro fede è ancora profonda?
«Noi abbiamo una grande forza spirituale perché qui è in gioco la nostra sopravvivenza. Mio padre è un sopravvissuto dell’Olocausto. È venuto in Palestina nel 1949, aveva 40 anni, e ha combattuto. Io e i miei fratelli abbiamo servito nell’esercito, e ora lo stanno facendo anche i miei figli. Lo fanno perché capiscono che è l’unico modo per difendere gli ebrei. Quando Gheddafi cacciò gli ebrei dalla Libia molti vennero in Italia. Amano il Paese, la lingua, il cibo, ma sanno che non potranno mai essere del tutto sicuri. L’unica vera sicurezza per loro è l’esistenza di Israele».