ROMA
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Ong e trovi una galassia. Ong internazionali, cattoliche, laiche. Dalla Caritas a Emergency, dal Cesvi ad Action Aid. E anche Ong ultraspecialistiche, piccole o piccolissime. Quelle ufficialmente riconosciute (e in qualche modo vigilate per mantenere l’accreditamento) dal Ministero degli Esteri sono ben 231. Secondo un rapporto della Fondazione Migrantes (Cei) nel 2009 hanno avuto entrate per 1 miliardo di euro e occupavano 27 mila persone, per la metà volontari. Gli italiani che lavorano all’estero nei loro progetti sono circa 6 mila.
La realtà delle Ong è in tutti i sensi importante, ma se qualcuno pensasse che il miliardo di euro — che negli ultimi 4 anni si è ridotto a meno di 700 milioni di euro — sia costituito da fondi pubblici, sbaglierebbe. Dal Ministero degli Esteri ad esempio arriva alle Ong accreditate appena il 20% dei fondi (104 milioni di euro) allocati per la cooperazione bilaterale. E cioè 31 milioni euro, che non è molto visto che il Ministero degli Esteri, tra cooperazione bilaterale e multilaterale, ha speso nel 2013 182,6 milioni di euro (dei 254 milioni a disposizione, 21,9 vanno in spese di funzionamento della struttura e 49,5 vanno in contributi obbligatori alle organizzazioni internazionali del settore: dalla Fao al Programma Alimentare Mondiale, all’Unido, all’Unicef, alle quale peraltro vanno altri 42 milioni dei 182 spesi per interventi).
I due terzi delle Ong italiane si raggruppano in tre grandi famiglie. I ‘cattolici’ della Focsiv (61 ong), i ‘laici e progressisti’ del Cocis (28 ong), i ‘laici’ del Cipsi (31). A queste si aggiungono quelle del coordinamento ‘Cini’, che raggruppa in primis le organizzazioni Ong internazionali (da Action Aid ad Amref, Save The Children, Terres des Hommes, Vis, Wwf) e infine quelle che si sono trovate nel raggruppamento ‘Link 2007’ (Cesvi, Cisp, Coopi, Cosv, Gvc, Intersos, Lvia, Icv, Medici per l’Africa). Tutti questi operatori sono strutturati e professionali.

PER AVERE



l’accreditamento presso il Ministero degli Esteri devono essere attivi da almeno tre anni, presentare bilanci, avere dimostrata capacità di spesa e di intervento e poi presentare ogni anno rapporti sull’uso dei fondi pubblici eventualmente ricevuti. Il problema sono le ong ‘fai da te’ che raccolgono fondi autonomamente e mandano operatori sul campo in maniera avventurosa e spontaneistica. Troppo avventurosa, a volte. Se qualcosa va male mettono a rischio i loro cooperanti e chi deve poi andare a salvarli.
Alessandro Farruggia