VA BENE, è sintesi dura. Crudele. Eppure, diciamolo compagni, lidea di una Festa dellUnità senza lUnità morta (uccisa?) il primo agosto fa venire una qual certa malinconia. Anche per chi non è mai stato (né mai lo sarà) comunista. E, senza timore di scandalizzare gli scienziati di Clio, il paradosso appare ancora più evidente da un dato. La prima volta risale al 2 settembre 1945. La location è Mariano Comense e, come scrive Anna Tonelli in Falce e tortello, migliore storia delle Feste dellUnità, cera «il desiderio di felicità per allontanare gli incubi dei mitra fascisti e nazisti». Il modello era la festa dellHumanité, organo del Partito comunista francese (molto più forte, nel primissimo dopoguerra, di quello italiano). Pcf che, oggi, praticamente, non esiste più. Quindi, il destino fa sì che a partiti vivi (il Pd) corrispondano giornali morti (lUnità); a partiti moribondi, giornali (abbastanza) vivi.
SE OGGI il Pd (ricordate? «Lunione dei grandi riformismi») piange miseria, se lUnità è morta (uccisa?), il vero momento doro si ha negli anni Settanta (quando sostenevano che lorgano vendesse un milione di copie). Poche cifre: nel 1972 ci furono 4.607 appuntamenti per poi aumentare a 5.274 (73), 6.563 (74) sino al record di 7.059 nel 1975, uno degli anni doro, con lo storico 1976, del Pci. Pensate che alla faccia del partito liquido di veltroniana memoria la sottoscrizione del 1975 raggiunse i 5.128.518.360 di lire. Le regioni-traino erano, manco a dirlo, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia. Nella sola provincia di Bologna, nel 1975, Luca Savonuzzi sul Carlino contò qualcosa come 395 feste «a volte grandi come un fazzoletto, un baracchino e due striscioni rossi». Numeri imponenti, prezzi abbastanza popolari: sempre in quellanno un piatto (enorme) di tortellini costava 800 lire e un galletto alla francese 1.600. Già, la gastronomia. Elemento essenziale che, come sempre nella storia della sinistra, ha avuto diverse svolte. La più clamorosa nel 1951. Siamo alla festa di Firenze e lUnità, con prosa stentorea, ammoniva: «Al Parco delle Cascine ci sarà posto per le cucine. Non alludiamo soltanto ai panini imbottiti od alle cassette di birra. No, queste sono idee ormai arretrate. Qui si tratterà di cucine vere e proprie con tanto di cuochi in grembiule e berrettone, che sforneranno piatti caldi di ogni specie». Certo, ridurre come fa qualche anticomunista da fiera di paese, «la» Festa a semplice delibazione enogastronomica è errore marchiano. Cera lo spettacolo. Come quella volta (Modena, 1990) cui partecipò, dopo David Bowie, il terribile Beppe Grillo il quale aveva avuto un litigio clamoroso sul suo compenso a Dicomano, deliziosa località mugellana. Cerano i partiti fratelli. Che facevano scambio-merci: te Pci mi ospiti, io ti mando casse piene di matrioske da vendere. Cerano le confessioni. Come quella di Nilde Iotti a Correggio nel 1993. Nilde raccontò del suo amore per Togliatti e di come, in un partito maschilista, le offese verso di lei venivano più dai «compagni» che dagli avversari.
INSOMMA, la Festa come capitolo fondamentale dellautobiografia di una nazione e dello stile dei suoi protagonisti. Prendete DAlema. Per lui, che una volta si occupava di politica, le uniche feste erano quello dellorgano: «Sarebbe ingeneroso scandì nel 1986 fare un paragone con la festa della Dc a Cervia. Ma quella è una fiera...». (Non è dato sapere se aggiunse diciamo ). Di certo, delle Feste tutto aveva capito Alberto Moravia. Esse «hanno il vantaggio di combinare in sé tre idee base: quella della festa cattolica, quella del Soviet e quella del mercato». Almeno una volta.
SE OGGI il Pd (ricordate? «Lunione dei grandi riformismi») piange miseria, se lUnità è morta (uccisa?), il vero momento doro si ha negli anni Settanta (quando sostenevano che lorgano vendesse un milione di copie). Poche cifre: nel 1972 ci furono 4.607 appuntamenti per poi aumentare a 5.274 (73), 6.563 (74) sino al record di 7.059 nel 1975, uno degli anni doro, con lo storico 1976, del Pci. Pensate che alla faccia del partito liquido di veltroniana memoria la sottoscrizione del 1975 raggiunse i 5.128.518.360 di lire. Le regioni-traino erano, manco a dirlo, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia. Nella sola provincia di Bologna, nel 1975, Luca Savonuzzi sul Carlino contò qualcosa come 395 feste «a volte grandi come un fazzoletto, un baracchino e due striscioni rossi». Numeri imponenti, prezzi abbastanza popolari: sempre in quellanno un piatto (enorme) di tortellini costava 800 lire e un galletto alla francese 1.600. Già, la gastronomia. Elemento essenziale che, come sempre nella storia della sinistra, ha avuto diverse svolte. La più clamorosa nel 1951. Siamo alla festa di Firenze e lUnità, con prosa stentorea, ammoniva: «Al Parco delle Cascine ci sarà posto per le cucine. Non alludiamo soltanto ai panini imbottiti od alle cassette di birra. No, queste sono idee ormai arretrate. Qui si tratterà di cucine vere e proprie con tanto di cuochi in grembiule e berrettone, che sforneranno piatti caldi di ogni specie». Certo, ridurre come fa qualche anticomunista da fiera di paese, «la» Festa a semplice delibazione enogastronomica è errore marchiano. Cera lo spettacolo. Come quella volta (Modena, 1990) cui partecipò, dopo David Bowie, il terribile Beppe Grillo il quale aveva avuto un litigio clamoroso sul suo compenso a Dicomano, deliziosa località mugellana. Cerano i partiti fratelli. Che facevano scambio-merci: te Pci mi ospiti, io ti mando casse piene di matrioske da vendere. Cerano le confessioni. Come quella di Nilde Iotti a Correggio nel 1993. Nilde raccontò del suo amore per Togliatti e di come, in un partito maschilista, le offese verso di lei venivano più dai «compagni» che dagli avversari.
INSOMMA, la Festa come capitolo fondamentale dellautobiografia di una nazione e dello stile dei suoi protagonisti. Prendete DAlema. Per lui, che una volta si occupava di politica, le uniche feste erano quello dellorgano: «Sarebbe ingeneroso scandì nel 1986 fare un paragone con la festa della Dc a Cervia. Ma quella è una fiera...». (Non è dato sapere se aggiunse diciamo ). Di certo, delle Feste tutto aveva capito Alberto Moravia. Esse «hanno il vantaggio di combinare in sé tre idee base: quella della festa cattolica, quella del Soviet e quella del mercato». Almeno una volta.
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