Ettore Maria Colombo
ROMA
CORREVA

l’anno 1959 quando l’Italia viveva la deflazione, la stessa che vive adesso. In quei tempi il socialista Rino Formica, barese, classe 1927, in seguito più volte ministro, membro di rilievo del Psi durante la segreteria di Craxi, militava nella corrente ‘autonomista’ del Psi, critica verso l’allora centro-sinistra.
Onorevole Formica, che Italia era quella alla fine degli anni Cinquanta?
«Il paragone con oggi è difficile, il contesto era tutt’altro. Politica, economia, società erano ben diversi. Ma allora avevamo piena sovranità economica sulla nostra moneta e sul nostro bilancio, oggi no. L’Italia della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta era uscita con grande sforzo dalla ricostruzione e, dal dopoguerra, eravamo ancora in piena ‘guerra fredda’, ma i governi contavano. Se manca la sovranità sulla moneta, sul bilancio e sul ciclo, tutto quello che si prova a fare è inutile».
Come accade oggi....
«Oggi non abbiamo strumenti per cambiare la nostra politica economica causa vincoli di bilancio imposti dall’Europa e per aver accettato di inserire il Fiscal Compact e lo stesso pareggio di bilancio nella Costituzione. Il problema non è uscire dalla Ue, ma ricordarci quanto male ci siamo entrati».
Torniamo all’Italia del 1959.
«C’era una sensazione, fondata, di grande dinamismo politico, economico e sociale. Il ciclo della ricostruzione post-bellica si era trasformato nella forte e dinamica aggressività dell’Italia sui mercati interni e internazionali. È stato un periodo di grande sviluppo e di grande impeto produttivo. L’Italia aveva un che di ‘impetuoso’, nella sua crescita. Non bisogna dimenticare che, proprio in quegli anni oltre dieci milioni di persone, cambiarono la loro residenza: dalle campagne alle città, dal Nord al Sud, dall’Italia all’estero».
Un grande fatto sociale.
«Di cui però, alla fine degli anni Sessanta, si pagarono anche le conseguenze perché vennero alla luce tutte le contraddizioni del nostro sviluppo industriale. Si trattò di un ciclo economico e sociale che potremmo definire ‘spontaneistico’, e che abbisogna di una risposta politica all’altezza dei tempi».
Quale fu?
«Fu il passaggio dal centrismo al primo centro-sinistra e l’idea che alle prime timide riforme serviva un ciclo di riforme dette ‘di struttura’. Ne nacque un grande e importante dibattito che coinvolse anche il Pci, che stava all’opposizione. Tutti avevamo la consapevolezza che si era aperta la strada di un lungo, ma tumultuoso, sviluppo».
E oggi?
«Oggi siamo del tutto lontani da allora. S’è interrotto il ciclo di sviluppo politico, economico, sociale del benessere e della democrazia progressiva. Oggi c’è grande paura del futuro, allora c’era fiducia. I provvedimenti economici che Renzi definisce ‘rivoluzionari’, mi fanno solo ridere. Invece, il suo decisionismo personalistico ha distrutto l’unico grande partito che era rimasto in piedi, il suo Pd».