Alessandro Farruggia
ANCORA
un muro, in Europa. L’ipotesi cala come un maglio su quella che è stata una giornata fruttuosa, con le presidenze russa e ucraina che si riparlano e annunciano un (quasi) cessate il fuoco. Probabilmente la tregua è un effetto delle sanzioni che l’Europa deciderà domani se adottare, e che il Cremlino vuole evitare.
Ma a qualcuno, leggi il premier ucraino, il dimissionario Arseniy Yatseniuk, l’idea della tregua non piace, probabilmente in chiave elettorale. E così rispolvera l’idea di costruire un muro lungo 1920 chilometri e dal costo di 100 milioni di dollari tra Ucraina e Russia. È una idea lanciata a giugno dall’oligarca Igor Kolomoski (nominato da Arsenyuk governatore della regione di Dnipropetrovsk) e che altri hanno ripreso e iniziato ad attuare. È il caso del presidente della provincia di Sumy (a nord di Kharkiv), Vladimir Shulka, che ha appena annunciato l’avvio della costruzione di una trincea larga quattro metri e profonda due, lungo 60 dei 562 chilometri di frontiera tra provincia di Sumy e le contigue province russe di Bryansk e Kursk.

IN ATTESA


di vedere se il muro si farà, ed è tutto da dimostrare, il barometro passa dal brutto al variabile tendente al bello. Tutto è iniziato in mattinata, quando i presidenti russo Valdimir Putin e ucraino Petro Poroshenko si sono sentiti e hanno trovato una sintesi dalla quale è nato un cessate il fuoco. Poroshenko se lo è subito rivenduto come «cessate il fuoco permanente», ma è stato rimbrottato dal Cremlino, che l’ha corretto in «intesa sulle modalità sull’accordo su regime di cessate il fuoco», dato che — perfida sottolineatura — «la Russia non può negozare un cessate il fuoco perchè non è parte del conflitto». Ma erano schermaglie. La presidenza ucraina ha tolto la parola «permanente» e la sostanza non è cambiata: si va verso una sospensione delle ostilità, già evidente ieri attorno a Donetsk (pochi colpi di artiglieria) e a nord di Mariupol. Per dare sostanza all’intesa, più tardi interviene anche Putin, che dice ai giornalisti che lo hanno seguito in Mongolia che «un accordo finale tra le autorità ucraine e il sudest dell’Ucraina potrebbe essere trovato nell’incontro del 5 settembre a Minsk», e illustra un piano in sette punti che prevede tra l’altro lo stop alle operazioni offensive delle forze armate e delle milizie, il ritiro delle unità di Kiev a una distanza dalle città che impedisca di bombardarle, un controllo internazione imparziale. Da Doenetsk e Lugansk i filorussi mandano segnali contraddittori. Alcuni leader sono a favore, altri no.

MA PUTIN

intima: «Chiedo alle forze armate della Novorossia di smettere di avanzare e a Kiev di ritirare le sue truppe». In Ucraina, Yatsenyuk respinge la proposta di Putin bollandola come «fumo negli occhi» e Poroshenko che gli riponde a stretto giro. Dicendo, come Putin, che si augura che «gli imminenti colloqui di Misk possano portare all’avvio di un processo di pace» e sottolineando che «la gente ucraina è pienamente favorevole alla tregua mentre certi politici vogliono giocare alla guerra: e io non lo consentirò». A Yatseniuk saranno fischiate le orecchie.