ROMA
NEL GIORNO
in cui Renzi riunisce a Palazzo Chigi il ministro Padoan e il commissario Cottarelli per fare il punto sui tagli alle spese ministeriali, Alfano chiede a carabinieri e poliziotti una prova di responsabilità «perché ci sono le condizioni per lo sblocco degli stipendi», esplode di nuovo la polemica sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. A lanciare il sasso, e poi nascondere la mano è la Guidi che a Cernobbio ha detto: «I dipendenti pesano troppo sulle aziende, è necessario che cambi il sistema normativo». Complice un giro di telefonate con Palazzo Chigi, ha fatto una mezza retromarcia («mai detto che le tutele per i dipendenti sono un fardello per le imprese»), ma la musica non cambia. Il dibattito si infuoca, e la polemica rischia di rallentare nuovamente l’iter del Jobs Act che riprende giovedì in Senato. Il dubbio che il ministro dello sviluppo abbia fatto da apripista per un intervento caro a Confindustria e a Forza Italia aleggia.
LA NORMA
sul reintegro dei licenziati senza giusta causa si conferma un nervo scoperto per la maggioranza: il centro, con Casini, ne chiede la cancellazione, la sinistra Pd fa le barricate assieme ai sindacati. Cgil e Fiom si preparano a scendere in piazza; la Camusso annuncia una manifestazione («aperta a Cisl e Uil») per i primi di ottobre, Landini per il 25 (accompagnata da 8 ore di sciopero»), ma non è escluso che possano essere accorpate. «Non sono contrapposte», chiarisce il leader dei metalmeccanici. In questo quadro, non è chiaro dove voglia andare a parare il premier che, come è noto, considera la norma una scatola vuota: «Riguarda 3.000 persone l’anno». Per alcuni il contratto a tutele crescenti potrebbe essere una soluzione, di sicuro non è casuale il verbo scelto dal responsabile economico del Pd, Taddei per intervenire sulla questione: «Bisogna superare il dibattito sull’articolo 18 con una riforma complessiva del lavoro». Magari qualcosa di più si saprà nelle prossime ore: è attesa una riunione di maggioranza.

GIÀ:

sono giorni di fuoco per Renzi alle prese con la legge di stabilità, in vista della riunione dell’Ecofin che inizia giovedì e che potrebbe essere il momento buono per chiedere tempo per il pareggio di bilancio e per il rientro del deficit in cambio di riforme. Anche per questo, ieri il Rottamatore ha accelerato sulla spending review, cercando di individuare il «metodo» più adatto per arrivare a quel 3% di risparmi per ciascun dicastero. Nell’ufficio del premier a Palazzo Chigi, dove c’erano Padoan, il consigliere economico Gutgeld, i ministri Boschi e Lupi, Cottarelli ha messo sul tavolo non le sue dimissioni (continuano a girare voci che lo vorrebbero in uscita per tornare al Fmi) ma una corposa lista di risparmi per arrivare a quei 20 miliardi, che poi dovranno essere messi a fuoco dai singoli ministeri. Da qui arriveranno gran parte delle coperture per la legge di stabilità che dovrebbero consentire di non sforare i parametri del 3%. Ma questi risparmi che, assicurano, non produrranno tagli lineari saranno invece frutto di una valutazione politica collegiale, tale da non mettere i ministri davanti a un muro. Domani è il giorno con l’iniziale maiuscola: Renzi vedrà tutti i ministri per valutare con loro le proposte portate da Cottarelli. Nel frattempo, continua a ragionare sulla «cabina di regia» sull’Economia che dovrebbe diventare la cinghia di trasmissione con Bruxelles.
an. co.