Bologna, 29 novembre 2010 -

Linus, l’Italia non è un Paese per giovani? Spesso per sapere qualcosa sui giovani i giornali interpellano lei, che proprio giovanissimo non è...
"Sulla questione in generale si potrebbe discutere. Nello specifico si può dare una spiegazione logica non banale. E cioè che per spiegare un certo fenomeno è meglio affidarsi a chi ha un certo distacco".

Torniamo ai giovani e l’Italia. Anche nella radio di cui lei è direttore, Radio DeeJay, gli speaker di punta non sono mica tanto giovani: c’è lei, Fabio Volo, Nicola Savino, non siete proprio dei ragazzini. Per i giovani non c’è posto?
"Ci sono professioni in cui l’anagrafe ha la sua logica, e questa è una di quelle. Il nostro è un mestiere fatto di parole - certo, c’è la musica, ma le parole hanno un ruolo fondamentale. Per avere qualcosa di interessante da dire devi aver vissuto sufficientemente a lungo. Quando avevo 25 anni facevo già la radio ma, ad essere sinceri, non è che avessi grandi cose da dire. Direi che una tale consapevolezza si acquisisce ben oltre i 30 anni. Si matura una certa personalità. Devi avere un mix di freschezza e personalità. Poi magari si può cadere nel giovanilismo e questo è un po’ triste. E’ un fenomeno che purtroppo in radio è molto diffuso. Perché in radio non c’è stato un grandissimo ricambio".

Come mai lei riusciva a fare la radio a 25 anni e oggi è molto più difficile?
"Quando io ho cominciato eravamo tutti quanti alla pari. Non c’erano livelli d’ingresso alti. Negli anni ’70 si sono avvicinate alla radio persone con le estrazioni sociali più disparate. Io, perito elettrotecnico, ho cominciato con con Gerry Scotti che studiava legge. Adesso la molla che avvicina chi vuole fare radio o tv quasi mai è la passione. Ai nostri tempi non c’era la speranza o l’ambizione di diventare famosi, c’era unicamente il piacere e il divertimento di farlo. Adesso la fama è non solo lo scopo, ma anche il perché. Ormai ci sono tante altre strade molto più semplici. Se vuoi fare il disc jockey e ti piace la musica vai in discoteca. Se vuoi diventare famoso perché sei carino o carina vai a fare un reality, un concorso di bellezza... Nel frattempo la radio ha alzato molto la posta, è più esigente".

Oltre a lei, ci sono altri “esperti di giovani” che poi tanto giovani non sono. Penso a Federico Moccia, o ad Andrea De Carlo...
"Il caso di Moccia credo per fortuna che sia un fenomeno unico. Quello che colpisce non è che abbia scritto il romanzo 15 anni fa, ma che poi abbia continuato su quella strada e ci abbia costruito sopra un piccolo impero. Comunque è un’eccezione. De Carlo invece ha una sua eleganza...".

Di lei una cosa che incuriosisce è che conduce una vita privata del tutto ordinaria: una famiglia regolare, due figli, nessun colpo di testa, nessuna stranezza. Sembra una particolarità della sinistra, ormai: anche su D’Alema, Bersani, Veltroni, Rutelli, non ci sono pettegolezzi di sorta. Una volta quelli di sinistra erano invece contro l’istituzione della famiglia, erano per l’amore libero. Mentre quelli di destra, che a parole difendono la famiglia, poi ne combinano di tutti i colori... I giovani cosa pensano di questo dualismo?
"E’ vero che appartengo all’area di sinistra, soprattutto per estrazione, ma mi sento sempre meno parte di quell’area e sempre più indipendente. Credo che i giovani si identifichino molto poco con la sinistra proprio per il grigiore dei personaggi che ha citato. Non voglio beatificare Berlusconi e le sue hostess, però un po’ più di umanità da parte della sinistra non guasterebbe. Questo tipo di sinistra ha il difetto di avere sempre l’atteggiamento di quelli che hanno la verità in tasca. Ti fanno pesare il fatto che hanno una vita retta e irreprensibile. Sembra un po’ finta questa perfezione. Mi auguro per loro che Rutelli, Veltroni e D’Alema abbiano avuto un momento in cui il cuore gli ha battuto un po’ di più di quanto ci facciano credere... Se riuscissero a farlo passare, questo messaggio, sarebbe un vantaggio per loro. La sinistra italiana fa fatica a trasmettere emozioni, è un po’ troppo secchiona. Ed è uno dei motivi per cui me ne sto piano piano allontanando".

'Le Iene' hanno mandato in onda un servizio agghiacciante in cui una ragazzina di 17 anni confessava di prostituirsi già da due anni in cambio di ricariche telefoniche per 30 euro, oppure per comprarsi qualche indumento di moda. La ragazzina, di una famiglia modesta, invidiava le compagne più ricche e per restare alla loro altezza era ricorsa alla prostituzione...
"Il servizio non l’ho visto ma il fenomeno lo conosco. Negli ultimi anni , soprattutto nelle periferie delle grandi città, c’è l’ansia di crescere slegati da qualsiasi forma di protezione. I ragazzi non hanno un contenitore che li tenga in riga, per il semplice fatto che la famiglia è talmente impegnata a sopravvivere che non ha il tempo di badargli. Questo si traduce in uno svuotamento di ogni valore: il sociale, la politica, lo studio, e anche il sesso. L’importanza esasperata di avere addosso una maglietta di Abercrombie e Fitch svaluta tutto il resto. Anch’io quand’ero adolescente volevo le cose che avevano i miei compagni più fortunati. Il mio trauma infantile più grande era vedere uno dei miei migliori amici ricevere ogni settimana la busta marrone con “Topolino”. A 12-13 anni ho visto il film “Incompreso” di Comencini. Be’, in qualche modo mi rallegravo della brutta fine dei protagonisti del film perché erano ricchi, e io ci soffrivo tantissimo a vedere tutte le loro belle cose mentre io stavo in maglietta e mutande in un bilocale abitato da 5 persone. Però non mi è mai venuto in mente né di andare a prostituirmi nè di rubare perché mia madre mi dava grandi schiaffoni. Mi ha salvato anche la radio: a 17-18 anni mi ha talmente riempito la vita che pensavo solo a quella".