Bologna, 9aprile 2014 - ABBRONZATO. Sorridente. Pullover scollo a V beige e polo attillata. Non penseresti mai che sia l’autore di testi bellisimi/tristissimi, capaci di prenderti il cuore e farlo a fettine: E magari morirò di tanto amore... Con quella faccia un po’ così che hanno loro che sono nati a Genova, Ivano Fossati - classe 1951 - si presenta leggero come una piuma, con tanta voglia di parlare. Di tutto. A cominciare da questo nuovo ruolo, che sembra divertirlo moltissimo.

Fossati scrittore: perché?
«Perché avevo voglia di mettere sulla carta qualcosa di più lungo del testo di una canzone: pensavo di non esserne capace, e invece è nato “Tretrecinque”, 400 pagine venute giù di getto, e uscite per i tipi Einaudi».

Quasi una scommessa?
«Esattamente. Mi sono detto: “provo a buttare giù le prime 20, 30 pagine: se vengono, bene. Altrimenti mollo tutto”. Invece...».
Invece?
«Sorpresa! Più scrivevo e più avevo voglia di scrivere; quattro, cinque ore di seguito, tre minimo, ogni mattina . Certe notti non vedevo l’ora di alzarmi per l’ansia di come sarebbero andate avanti le storie di Vittorio, “Vic” Vicenti, il protagonista del mio primo (e forse ultimo) romanzo».

Autobiografico?


«La risposta ufficiale? No. Ma ovviamente ho messo tanto di me, della mia vita e del mio mondo. Vittorio è così, è uno che passa dentro la vita rifiutandosi di diventare adulto (ride, ndr.). Non è la mia storia, si parla di orchestrali anni ’50. Ma certamente scrivo di musica, chitarre (la Gibson Es 335, chitarra elettrica che ha accompagnato da B. B. King a Eric Clapton e Fossati, ndr.), amori, viaggi».

Insomma, di tutto ciò che le piace?
«Mi piace eccome, soprattutto viaggiare. Sono tornato da poco e avrei già voglia di ripartire. La fregatura è che si invecchia solo fuori: rughe e doloretti. Ma il cervello no, quello non si arrende».

Mentre il protagonista del romanzo rinuncia ai propri sogni.
«Io no: ho sempre suonato la musica che amavo, smettendo di fare il cantante, dopo 40 anni al microfono».


Temeva di essersi avvicinato troppo al modello del “professionista”?
«È questione di tempi e di voglia: per questo il libro è anche il racconto di come il mio futuro, del quale non mi curavo, sia diventato giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio, incontro dopo incontro, il mio presente e poi sia scivolato alle mie spalle. Ma con leggerezza, e si sia lasciato trasformare nella canzone piccola e piena di speranza che dà il titolo a questo romanzo».


Non può morire un’idea?
«Non può morire la libertà: io sono stato un uomo libero, ma “Vic” lo è molto più di me. Talvolta il talento può essere una gabbia. Ho conosciuto persone così libere da non voler essere star».

In che senso?
«Nel senso che, girando il mondo, ho incontrato musicisti e cantanti eccezionali, che non avevano alcuna intenzione di stare in prima fila».


Anche lei, due anni fa, ha deciso di lasciare: oltre a viaggiare e scrivere, cosa fa oggi Ivano Fossati?
«Ho abbandonato dischi e concerti, non le note. Continuo a comporre per altri. Ho tenuto la parte del mio lavoro che mi è sempre piaciuta di più. Leggo, non seguo il calcio, ascolto molta musica, soprattutto inglese. Tanta me ne mandano; ma una cosa, nel corso di questi anni, l’ho capita e l’ho ben chiara in mente».


Sarebbe?
«Il vero talento devi andartelo a cercare: in giro c’è gente bravissima che non viene a bussare alla tua porta».


Concerti?
«Ci vado, certo. Ma quante delusioni. Ricordo i Rolling Stones nel 2007 a Roma: uno spettacolo per famiglie, altro che rock».


Quindi il 22 giugno?
«Me ne starò a casa».
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Letizia Cini