Portsmouth (Virginia - Usa), - UN SOGNO impossibile è ancora realizzabile in America? Sì. Anche se difficile, complesso e costoso. Quando il sogno è un film, le difficoltà — almeno in Italia — aumentano sicuramente. In America cambia tutto: uno può anche farcela, persino se è arrivato dall’Italia da un anno. Questa è un po’ la storia di Max Bartoli, romano 41enne con famiglia dalle radicate origini fiorentine. Max Bartoli aveva un sogno: girare un film (per di più di fantascienza) e tra il sognarlo e il vederlo proiettato è passato poco più di un anno. Alle spalle aveva un bel biglietto da visita, il corto «Ignotus» — ambientato nel medioevo italiano — che aveva vinto praticamente quasi tutti i festival del suo genere, tanto in Europa quanti negli Stati Uniti.
 

 

SULLO SCHERMO del cinema, il Commodore Theatre, all’anteprima mondiale nella cittadina di Portsmouth, in Virginia, nei giorni scorsi non mancava niente: il tappeto rosso su cui affondavano i tacchi le signore che uscivano dalle lunghissime limousine, il valletto con il campanaccio che annunciava alcuni arrivi (quando è toccato a noi, però, non l’ha suonato... chissà perché). E tanti flash che fanno capire una cosa: in America quando si fa festa per un bel risultato, la festa è vera e sincera. Non è come in Italia dove non riusciamo più a prenderci sul serio. Lì, nella provincia americana, il red carpet è ancora il tappeto rosso delle occasioni solenni e uniche. Uno che arriva in limousine non è l’ultimo che capita, e tutto questo fa parte del grande gioco del sogno cinematografico.
 

 

«LEI HA recitato nel film?» chiede subito un trentenne nel foyer. «Italian press» è la risposta. «Ah, io invece sono uno studente di recitazione di Portsmouth e qui spero di conoscere qualcuno per partecipare a un film». Capita anche questo alla prima di una pellicola; ti chiedono se sei regista o attore perché il gioco è sempre lo stesso: arrivare sul grande schermo, affinché possa illuminarsi all’infinito. Arriva il momento della proiezione: Max Bartoli con il suo producer, Ethan Marten, salgono sul palcoscenico e ringraziano i presenti. Quando scorrono i titoli di testa qualcuno urla e applaude (il cast era presente con famliari inclusi) e poi la storia scorre veloce. L’equipaggio dell’Atlantis — lo Shuttle che collega la Terra con la Stazione spaziale internazionale — viene travolto da un raggio alieno, proprio nell’istante in cui un membro dell’equipaggio è intento a fare una mossa di una partita a scacchi. Gli astronauti si ritrovano, eccetto uno, in un’area desolata della Terra e rivivono i drammi del proprio passato, come i traumi della infanzia violata (c’è pure una violenza sessuale su una bambina fatta da un prete...). Tanti effetti speciali dopo, si torna sullo Shuttle. E qui ci fermiamo perché Max Bartoli spera di far arrivare il suo film anche nelle sale italiane.
 

 

Fare un film in America è davvero possibile?
La domanda pare retorica, siamo alla prima di un film, e Max Bartoli risponde ormai sereno (con tutti gli stress lasciati alle spalle): «Sì, è possibile perché in America tutto è possibile. E’ ancora la terra delle opportunità questa qua. La gente ti ascolta, ti danno delle occasioni e premiano il merito. Non è stato facile, assolutamente. In tutto c’è stato tantissimo sacrificio, ma alla fine ci siamo riusciti».
 

 

Quanto è stata lunga e complessa la lavorazione, come si è sviluppata la produzione?
«Dieci mesi in totale. Montaggio musiche e sound non sono stati complicati, tre mesi. La “cgi”, cioè la computer grafica e gli effetti speciali sono stati infiniti e di mesi ne abbiamo messi dieci. L’importante è il risultato, ci sono ancora delle cosine da mettere a posto in questa prima versione proiettata, ma finché le vedo solo io va bene così».
Singolare la tecnica usata da Max Bartoli per produrre il film: ha proposto a un canale televisivo via cavo di mandare in onda il reality show sulla sua storia, quella dell’italiano che cerca di fare un film.

 

Un’idea folle? Accettata da «Cox 11» e messa in onda. Risultato? L’attore di Hollywood Michael Rooker (che qualcuno ricorderà nell’action movie «Jumper, senza confini», «Cliffhanger», «Il collezionista di ossa» e «Il sesto giorno» di Schwarzenegger) ha telefonato al producer Ethan Marten per autoproporsi. Bingo! Per il film dell’intraprendente Max Bartoli anche la star era assicurata. E con lo stesso meccanismo sono arrivati un po’ di soldi, finanziatori che hanno «giocato» a fare i co-produttori. Si può dire che ad ogni sacrificio fatto da Bartoli e dalla sua troupe per arrivare al risultato finale, c’è stata una soddisfazione compensativa, come quando hanno risolto il problema dei pasti per il cast grazie alla disponibilità dei ristoranti locali.
 

IN QUELLO che è stato ribattezzato come «Studio 463» a Portsmouth, sopra il ben noto ristorante «Brutti’s», è stato allestito il set dove creare astronave e alcuni ambienti interni. Lo Shuttle è stato assemblato dagli scenografi che hanno esperienza a Hollywood (e per loro fare un set da far west o una stazione spaziale non è un problema) e Franca Bartoli, stilista nonché madre di Max, ha progettato e realizzato i costumi. Non irrilevante il ruolo di Oscar Bartoli, padre di Max, già direttore dell’Iri negli Usa e ora giornalista, vero stratega delle pubbliche relazioni.
«Per la musica ho scelto Rino Amato — continua Max Bartoli —, grande persona, grande musicista, una persona deliziosa con cui lavorare. La fotografia è di Eric Hurt, un gran talento anche lui. Girare in digitale è convenuto perché non avevamo altre possibilità. Ha pagato perché siamo riusciti a utilizzare al meglio la tecnologia della macchina da presa Red ad alta definizione».
 

La prima fatica è fare il film, la seconda distribuirlo. Quali le prospettive?
«Ci sono otto distributori — dice Max Bartoli — che ci hanno chiamato senza aver mosso un dito, quindi speriamo bene perché abbiamo appuntamenti importanti. In termini di stress sarà sicuramente molto meno che aver messo in piedi il film. In Italia voglio fare una versione con i sottotitoli per fare una proiezione per un pubblico ristretto,ma poi dipenderà dal distributore».