Una vita da maschio italiano: lavoro, donne e famiglia. Anche se si è famosi e ricchi non si muore a novant’anni, circondato dall’affetto sincero di una giovane moglie, se non si è buoni manager della propria vita privata. E Dino aveva programmato molto bene la sua. Quando Silvana Mangano all’epoca del suo massimo splendore, in shorts e chewing-gum, decise di accettare la sontuosa corte del produttore De Laurentiis, soffocando la passione ancora viva per lo scapestrato Mastroianni, seppe intuire l’accorto uomo d’affari ma forse non il gelido amministratore di sentimenti.

L’ex-piazzista di pasta - prodotta comunque dal padre - già aspirante attore del Centro Sperimentale, aveva già esaurito i bollori del bellimbusto all’italiana quando lasciò in pochi giorni la prima moglie Bianca Maria de Paolis, figlia di un bancario che non poco aveva contato nella fortuna delle sue prime produzioni, per unirsi (civilmente) alla avvenente bellezza di “Riso amaro”. Il primo matrimonio venne annullato dalla Sacra Rota. Con la freddezza di chi sa che i sentimenti sono pedine anche loro di un grande risico, Dino fece quel che il collega e socio Carlo Ponti aveva fatto con la Loren: giocò alla coppia giudiziosa, mondana al punto giusto, ma soprattutto dedita alla reciproca convenienza di carriere. Dino non esitò a fare dell’ex concorrente di Miss Italia (seconda alla Bosè) una lady sofisticata, quasi scontrosa. Non rese felice la moglie ma rese felicemente ricercata l’interprete tanto da farle assumere i panni, lei inizialmente terragna nella beltà corporea, dell’eterea signora di Visconti e Pasolini. Il progetto servì anche a nascondere una proverbiale gelosia: quella che, tra l’altro, impedì alla Mangano di assumere il ruolo che fu poi di Anouk Aimèe nella “Dolce vita”. Peccato non veniale.

Lo sfolgorio dello schermo di Silvana fu pagato del resto con il buio della vita privata soffocante e lussuosamente anonima. Nonostante i quattro figli di Dino la freddezza divenne la compagna di vita dell’attrice che chiamava per cognome il marito e si chiudeva per lunghi periodi in un mutismo snervante. Un risentimento verso il mondo che aumentò al momento della tragica morte in un incidente aereo del quarto figlio, Federico, a 26 anni. La Mangano tentò allora anche il suicidio appena nascosto dalla complicità di media all’epoca assai discreti. Morì in seguito a soli 59 anni, stroncata da un tumore.

Mentre lei soffriva Dino era già lontano, via dalla pazza folla, via dalla ingrata Italia nei lidi accoglienti di Hollywood. Dopo qualche chiacchierata relazione in cui il manager punta più alle gratificazioni immediate che al planning familiare, Dino, un quasi re dei blockbuster, sposa alle soglie dei settant’anni la giovane produttrice Martha Schumacher con cui avrà ancora tre figli e dividerà giorni di proficuo lavoro.

Dino, per sua confessione, fu legato alla vitalità della esistenza che, in codice mediterraneo, significa un moderato dongiovannismo. Certo, da vecchio, seppe essere un saggio patriarcale capo di famiglia. Capace persino di riflettere sulle ombre del proprio passato.