Milano, 17 settembre 2011 - JONATHAN Demme e Neil Young, terza. E’ buona, è ottima. Ieri sera al Milano Film Festival il regista di Hannibal ha presentato il terzo film, “Neil Young Journeys” dedicato all’immortale autore di “Helpless”, estratto dal concerto del “ritorno” a Omenee, in Ontario, la città dell’infanzia dove tutto era cominciato. Legame di sangue tra Young e Demme, che sta preprando due nuovi film: una animazione sul disatro di New Orleans e un thriller da Stephen King.
Neil Young, ancora, sempre?
«Se c’è una cosa che riconosco come costante nella mia carriera è l’entusiasmo. Mi muovo sempre su questa emozione. E Neil Young per me è una fonte permanente di entusiamo. Questo è il terzo film su Neil, ancora un punto di vista diverso credo. Potrei stare giorni interi a filmarlo».
Il titolo è cambiato. Motivo?
«E’ stato Neil. Due settimane fa, qualcuno gli ha chiesto come si intitolava il nuovo film. Mi hanno riferito che ha avuto serie difficoltà a pronunciare la parola “life” (vita), troppo autoreferenziale, troppo emozionante. Così ho cambiato, con “journeys” (viaggi)».
Perché Neil Young?
«Ormai siamo collaboratori, complici, amici. La sua musica per me è straordinaria. C’è una continuità dell’anima. E’ tornato ora a lavorare sul palco, da solo, come 40 anni fa, e io ero lì. Ho piazzato sei videocamere, una sempre puntata sulla chitarra, per non perdere un istante di quello che fa, anche in termini di “feeling”. Neil è la personificazione delle sue canzoni. Esploro il suo volto perchè cambia. Quando esegue “Down by the River” lui diventa quel personaggio. Per l’esecuzione di “Ohio” ho chiesto ai genitori delle vittime una liberatoria, volevo far vedere i volti dei ragazzi uccisi e i luoghi con il volto di Neil. Diventa chiaro quanto è importante quella canzone per lui».
Parliamo della carriera.
«Mi sono sempre mosso passo dopo passo. Ogni film era una cosa diversa».
Da “Il silenzio degli innocenti” le cose sono cambiate. Come?
«Quel film mi dato un momento di potere, che ho sfruttato per farne un altro più difficile. Inizialmente l’avevo chiesto a Michelle Pfeiffer, ma era impegnata. Poi a Meg Ryan, che ha detto no, troppo horror. La Foster voleva quella parte. Ho fatto bene a darle fiducia. Poi, volevo fare un film sull’Aids e l’omofobia. Quanto sarebbe stato difficile senza il successo del “Silenzio”? Ho capitalizzato l’enorme consenso per “Philadelphia” per un film che avevo in mente da tempo sul razzismo, ecco allora “Beloved”. Non è stato piacevole invece fare “The Manchurian Candidate”, la stretta produttiva era troppo forte per me, e sono tornato a fare film di piccolo budget, ecco “Rachel sta per sposarsi”».
E adesso?
«Pensavo a un film dal bellissimo libro di David Eggers “Zaitoun”, la storia di New Orleans durante l’uragano Katrina e di un musulmano che finisce a Guantanamo, la fine dell’era Bush. Ma c’era il rischio di finire in un “disaster movie”. Allora ho deciso di prendere la via del film di animazione. E’ la prima volta, ci lavoro nei prossimi sei mesi».
E il film da King?
«Il nuovo libro di Stephen, “11, 22, 33” esce a novembre. Sto lavorando sulla sceneggiatura. E’ la storia di un insegnante inglese che riesce a viaggiare nel tempo fino al 1959 per salvare John Kennedy. Ma la storia è dura da cambiare... E Stephen sa raccontare che razza di incubo sia cambiarla».