Cannes, 18 maggio 2012 - Accade sempre, nella carriera di un grande attore, di affrontare un personaggio con un handicap. Dustin Hoffman e l’autismo in 'Rain Man', Robert De Niro parkinsoniano in 'Risvegli'. Daniel Day-Lewis che si trascina, paraplegico, ne 'Il mio piede sinistro'. E’ il momento in cui un attore è chiamato a dare tutto. A misurarsi con la grandezza, la ferocia inappellabile del dolore.

Questo momento è venuto, adesso, per Marion Cotillard. Era il volto minuto, sensibile, straziato dalla vita e dalla musica della Edith Piaf de 'La vie en rose', e - recentemente - il volto femminile del sogno parigino di Woody Allen, in 'Midnight in Paris'. Una pioggia di premi vinti: un rarissimo Oscar come miglior attrice, per una che non viene da Hollywood. In breve, oggi Marion è l’attrice più carismatica del cinema francese. In 'De rouille et d’os', da tradurre con 'Ruggine ed ossa', presentato in concorso a Cannes, il talento impietoso del regista Jacques Audiard le dà il ruolo di Stéphanie, e le toglie le gambe. Per lei, addestratrice di orche in un parco acquatico, lo spettacolo si trasforma in tragedia. «Come ho fatto a fare apparire Marion senza gambe? Semplice, le ho tagliate!», scherza il regista Jacques Audiard, trionfatore a Cannes tre anni fa con 'Il profeta'. «No, è stato molto più semplice: le abbiamo messo delle calze verdi e poi le abbiamo fatte sparire al montaggio. Oggi tecnicamente è tutto più semplice».

La difficoltà vera era per lei, Marion. Come ci si muove, come si recita un handicap simile? Com’è arrivata a quel quel grado quasi intollerabile di debolezza e di forza? «E’ questione di immaginazione», dice Marion. Sguardo sereno, compostezza quasi sublime. «Immaginavo di avere delle protesi in metallo al posto delle gambe. Ma in realtà, non c’è niente di eccezionale in Stéphanie. Tutti abbiamo, in modi diversi, delle prove da superare». Sono occorsi anche degli allenamenti fisici. «Ho imparato a nuotare soltanto con le braccia, dimenticando il resto del corpo». Ma c’è sempre, nella nostra vita come nel cinema, quel sottile e straordinario meccanismo che è la compensazione. Ogni dolore ti dà qualcosa in cambio. «Dopo l’incidente, Stéphanie scopre cose meravigliose, nell’anima».

E scopre, nel film, Matthias Schoenaerts, robusto, imponente. «Ci siamo incontrati con Marion prima delle riprese - racconta Matthias -. Quando l’ho vista di nuovo sul set, pallida, sulla sedia a rotelle, mi è preso un colpo. Pensavo che stesse male davvero. Invece era già dentro l’universo di Stéphanie, tutta chiusa nel suo dolore».

Giovanni Bogani