di Giovanni Bogani

CANNES, 21 maggio 2012 - ERA GIOVANE, così giovane quando rideva, con il vento tra i capelli, sulla Lancia Aurelia guidata da Vittorio Gassman nel “Sorpasso”. Lui, studentello di Legge in un ferragosto romano, sorpreso e felice per il vento forte della vita che gli soffiava in faccia. Sembrava che a quel ragazzino educato non potesse accadere niente di male. Invece la tragedia lo attendeva. In quel film. E nella vita.

JEAN-LOUIS Trintignant di vite ne ha vissute almeno tre. L’attore bello e chic che fa perdere la testa a una giovanissima Brigitte Bardot, al primo film. L’uomo che vede partire una freccia avvelenata dal destino: la figlia Pauline che muore in culla a Roma, mentre è sul set del “Conformista”. Pensa al suicidio: ma va avanti per le figlie che restano: Marie, l’amatissima Marie, soprattutto. E infine il vecchio, che si sente dire, una notte del 2003, che Marie è stata massacrata di botte dal compagno, il musicista Bertrand Cantat, ed è morta. Un dolore così, a settant’anni, è una mazzata che ti può finire. Il cinema, già da anni Trintignant lo aveva abbandonato - quel cinema cui aveva regalato ruoli straordinari anche in vecchiaia, col “Film rosso” di Kieslowski benedetto dai suoi sguardi lenti. Ma dal 1998, più niente.

E ORA, la quarta vita. Il ritorno, con quello che sarà il suo biglietto di addio al cinema. Con un’interpretazione da brividi, diretto da Michael Haneke, uno che usa la cinepresa come un bisturi. E che ritaglia lo stillicidio di una morte lenta ma inesorabile in “Amour”, in concorso a Cannes. Nella grande sala del Théatre Lumière, tutti in piedi per lui. Lo sanno, che non è un momento come gli altri. Poco prima, lo incontriamo. Dimostra anche più dei suoi 81 anni. La bocca è sempre bella, composta in un sussiego elegante, amaro. Si muove con lentezza. «E’ vero, non volevo più fare cinema», confessa. «Ma Michael è uno dei più grandi registi al mondo, mi ha convinto con questo film doloroso. Ma bello. Ho girato duecento film e non mi sono mai piaciuto. Ma questa volta, l’unica, è stato bello rivedermi. Avevo deciso di dedicarmi solo al teatro, però la mia parte in “Amour” è eccezionale. In questo film ho visto me stesso», ha detto l’attore che interpreta Georges, un anziano professore che si prende cura della moglie paralizzata e sempre meno autosufficiente, sperimentando le dure prove della vecchiaia.

«COM’È il regista? Uno troppo esigente, non ve lo consiglio», scherza, e per un attimo torna, dentro di lui, quel sorriso del ragazzino educato del “Sorpasso”. Ma il dolore più terribile non lo dimentica. Pochi giorni fa in Francia è uscita la sua autobiografia. «La morte per Marie è stato il dolore più grande della mia vita», scrive. «Mi era impossibile immaginare un giorno senza sentire la sua voce, senza vedere il suo sorriso: per due mesi sono stato un morto vivente. La vita mi passava accanto senza che me ne accorgessi». Ad aiutarlo, fa sapere, la poesia: Apollinaire. «Alla fine - conclude Jean-Louis - ho deciso di vivere».

VIVE, con grazia e dolcezza, i suoi 85 anni Emmanuelle Riva. Un esordio folgorante mezzo secolo fa, con “Hiroshima mon amour”. Poi pochissimi film. E questo, straordinario. Una donna in dissolvenza incrociata con la vita. «Un giorno Haneke mi ha detto: soprattutto, niente sentimentalismi. Da allora, ho capito tutto del personaggio. E l’ho vista vivere, e morire». E poi ride: «Ma non ero triste, mentre lo interpretavo. La sera, mettevo musica araba e danzavo, in casa!». Isabelle Huppert - che interpreta la figlia della coppia di anziani - la guarda con dolcezza. «Non ve lo avevo mai detto», dice, con un filo di commozione, usando il “vous” di cortesia. «Ma mi ricordate mia madre».