di LARA FERRARI

Cannes, 19 maggio 2014 - “Ancora una volta la gente sta facendo l’amore in una macchina. Un’intera generazione di americani è stata concepita nel sedile di dietro di un’auto. E’ stata la nostra rivoluzione sessuale e penso che sia servito ai giovani per sfuggire alle costrizioni imposte dalla famiglia”. David Cronenberg rompe gli indugi parlando della sequenza iniziale del suo Maps to the Stars, in gara per la Palma d’Oro e presentato oggi al Festival. Robert Pattinson, che in Cosmopolis era il divo da scarrozzare, qui è lo chaffeur a disposizione di attori, produttori, registi e starlette in cerca ‘della parte’.

Costellato di star esattamente come la materia di cui parla, prime fra tutti Julianne Moore (strepitosa) e Mia Wasikowska, seguite da Robert Pattinson e John Cusack, il film è un cocktail micidiale on-the-rocks di persone a caccia della gloria e della gloria che si inghiotte le prime, con altissimi prezzi da pagare. Cocktail da bere sulle colline di Hollywood, dove è appena sbarcata Aghata alla ricerca della sua famiglia, con la quale ha parecchi conti in sospeso. Da lei si dipana una trama fittissima di relazioni, alberi genealogici intrecciati come quelli dei reali, dove al posto dei monarchi troviamo le pedine dello scacchiere hollywoodiano, vite allo sbando, sprecate nell’inutile rincorsa ad emulare madri e patri attori, protagonisti di un’epoca di divi veri, che non esiste e non tornerà mai più. La vera fabbrica dei sogni dei vari Griffith, Douglas Fairbanks e David O. Selznick, produttore di Via col Vento. Non sembra accorgersene la stella al tramonto di Havana Segrand, corpo prossimo al collasso e cervello bruciato dagli psicofarmaci, che cerca a tutti i costi di ottenere lo stesso ruolo che fece diventare la madre una diva. Una madre rimasta uccisa in un incendio, lo stesso tipo di incidente capitato in casa di Aghata, rimasta sfregiata, e che in virtù di questo ‘dettaglio’ in comune fa sentire Havana vicina alla giovane assistente. Il copione formidabile di Bruce Wagner si adatta perfettamente alla satira macabra del genio canadese, che alterna momenti di indubbia ilarità ad altri violenti o in cui la violenza percepita dei pensieri è più forte di quella esibita. E’ il caso dei baby-attori che si scannano fra di loro o coprono di insulti i propri agenti, di fantasmi di celebrities morte che compaiono a dannare i vivi, di pistole maneggiate all’ora dell-aperitivo, con infantile raggelante souplesse. Cronenberg non odia Hollywood, e nemmeno John Cusack, massaggiatore delle star, padre di Aghata, che volentieri caccerebbe di casa. “Conosco Los Angeles, un ecosistema malato in cui avidità e paura convivono fianco a fianco”.

Una satira che colpisce al cuore lo studio system e soprattutto la girandola di personaggi che lo popolano. Uno stiletto conficcato dove fa più male, laggiù, al riparo delle ville di Beverly Hills. Dove alberga, però, ricordiamolo, il cinismo più cupo e invincibile di chi vede colleghi e amici sprofondare nell’abisso e lasciarveli sguazzare dentro. Il mestiere di Cronenberg si vede tutto e fa parte della sua cifra stilistica passare da una scena di spasso estremo all’alta tensione. Tuttavia, da parte del cineasta canadese abbiamo visto di meglio. Perché questi grandissimi, vedi anche alla voce Woody Allen, non provano a uscire da scenari che conoscono come le loro tasche e ad osare di più?

TURIST
E la sorpresa del Festival parla svedese. Nella sezione 'Un Certain Regard' si è imposto all’attenzione del pubblico il film Turist (Force Majeure) di Ruben Östlund, ambientato in un albergo che sprigiona lo stesso tipo di alienazione dell’Overlook Hotel di Kubrick. Tutti i presenti vogliono vedere questa commedia scandinava stramba, grottesca, incline al sarcasmo, in cui una coppietta con figli si appresta a trascorrere la fatidica settimana bianca. Una settimana all’insegna della pace che solo i paesaggi incantati dalla luce della neve possono offrire. Questo pensano loro. Certo, la coppia tutta sana non è. O come più spesso accade, non la racconta giusta a se stessa e al mondo. Dietro l’apparente candore delle giornate trascorse tra piste da sci e dormite, si cela il malessere di una famiglia che reprime ogni rancore reciproco sul nascere e alla quale la vacanza, invece di procurare sollievo e gioia, scatena la burrasca. Non solo metaforica! E’ una valanga vera a scatenare l’inferno bianco nel menage vacanziero degli sposini. Non un momento, per stare da soli. Che siano i pargoletti esigenti, il guardiano, la coppia di turisti appena conosciuti o le disinvolte sciatrici a bordo pista, Ebba e il tremebondo coniuge saranno finalmente costretti a confrontarsi, mettendo a nudo debolezze che nell’esotico senso dell’ironia svedese provocano in sala risate senza fine. Tutto riesce ad essere fuori posto, inadeguato, weird, nella fittizia rincorsa al divertimento della famigliola. Che infatti, a un certo punto, si troverà stramazzata al suolo, a piangere, sfogando la propria infelicità. Piace questa messainscena senza paraventi del disagio di coppia, in salsa nordica. Perché distante anni luce dal nostro sense of humor, perché esibisce il lato oscuro degli abitanti nella terra del Welfare. Interessante. Da vedere.