Bari, 04 ottobre 2011 - FRONTIERE della mente, del corpo e dello spirito. Che si fa festival a Bari e musica contemporanea nell’evento transgeneri con Antony and the Johnsons e l’orchestra sinfonica del teatro Petruzzelli. Prima mondiale sabato scorso, replica ieri all’Auditorium di Roma (due delle prime quattro date del progetto). Lunghi capelli, una rotondità dolce e pudica, presenza scenica imponente fra lirica e teatro orientale, mentre le onde melodiche e armoniche partono dal pianforte e dal suo strumento che vibra e saliscende come un contro tenore d’altri tempi. Fino a frangersi e amplificarsi nelle modulazioni di archi e ottoni, in un’ovazione globale (anche questa volta sono venuti da tutta Italia per vederlo). Da “The Rapture“ a “You Are My Sister“ e “Another World“.
Una meraviglia intima, vicina eppure lontanissima, fino alle suggestioni esotiche del film cinese “Addio mia concubina”. Di Kazuo Ohno, danzatore e coreografo giapponese a cui è dedicato l’album “The Crying Light” (2009). Inglese di Chichester, classe 1971, infanzia ad Amsterdam e adolescenza in California, studi di arte e musica, prima di sbarcare a Manhattan fra le Drag Queen, Antony Hegarty è l’artista di frontiera più amato della scena internazionale. Una leggenda costruita su tre album in studio, un live, collaborazioni e progetti con Lou Reed, «il mio mentore», Bjork, «la mia ispirazione più forte». Marc Almond dei Soft Cell. E Boy George, «la rivelazione di una femminilità vulnerabile nella sua essenza e molto onesta». Una folgorazione per Antony dodicenne. La liberazione sessuale è in Olanda, i conflitti esploderanno a Santa Cruz e si ricomporrann nella scena trasversale di Manhattan, alla corte di Lou Reed, dopo una laurea non irrilevante in Teatro Sperimentale.
I riferimenti della sua ricerca vocale sono Nina Simone e Liz Fraser, Diamanda Galas, che lo adora con Philip Glass e Robert Wilson, mentre coagula il progetto dei Johnsons, una band di pianoforte, chitarre e archi, cameristica e rock. Lou Reed lo aiuta nella pubblicazione del secondo album “I Am a Bird Now” (2005) che gli vale il Mercury Music Prize davanti ai Kaiser Chiefs. Si ispira alla vita, alle esperienze, «alla percezione intorno a me». Per accumulazione inconscia. «Fin da bambino la musica per me era un luogo espressivo ed espansivo. Lo spazio metafisico di una canzone». Usa un linguaggio classico, libero, contemporaneo, partiture minimali che possono alimentare il suono di un’ orchestra, grazie al genio di Nico Muhly. Ma rimangono incantevoli, struggenti, bellissime canzoni. Thomas Bartlett lo accompagnava al pianoforte, dirigeva Bob Muse.

IL SUO CANTO, vibrato e melò, scende nel profondo dei nostri sentimenti, alla ricerca di una felicità individuale e collettiva correlata all’equilibrio spirituale della natura. Ha collaborato con Battiato ed Elisa, ama i teatri italiani di tradizione. Non ha bisogno del beat: la sua voce respira. Discografia. “Antony and the Johnsons” (1998), “I am a bird now” (2005), “The crying light”, “Swanlights” (2010).