Bologna, 08 novembre 2011 - “DODICIMILA LUNE” non sono bastate quattro anni fa a Lucio Dalla per rendere giustizia al suo sterminato repertorio. Così tra i solchi della nuova antologia “Questo amore” il cantautore bolognese - che ha appena ribadito il suo «no» da superospite a Sanremo, «una finta festa... Morandi ci ha provato, sapendo che avrei rifiutato» - torna ad alzare gli occhi al cielo per regalarsi altri viaggi e altre cartografie astronomiche riunendo in due cd canzoni rimaste finora un po’ nell’angolo. In tutto 27 brani alla ricerca di una nuova chance più un inedito, “Anche se il tempo passa (amore)”, più la rivisitazione con Marco Mengoni di “Meri Luis”, più un paio di cover fuorimano quali l’omaggio a Napoli di “Anema e core” e quello alle spericolate armonizzazioni del Quartetto Cetra de “La leggenda di Radamès”. Una raccolta che sa di sogno e di Emilia come un poemetto di Ermanno Cavazzoni o un componimento di quel Roberto Roversi che firma la parte più elegiaca del repertorio.
Dalla, a cosa si deve la scelta di un repertorio fuori mano come quello di “Il coyote” o “E non andar più via” o “Le rondini”?
«All’intenzione di lanciare un segnale in tempi in cui sembra sempre più difficile riuscire ad ascoltare qualcosa che abbia realmente senso. Non è un omaggio all’epoca da cui provengono certe canzoni, ma al mondo in cui sono nate, all’alto artigianato che c’è dietro e che oggi s’è perso».
C’è un pezzo che non s’è mai perdonato di non essere riuscito ad imporre al grande pubblico?
«Probabilmente “Meri Luis”, che reputo uno dei due brani più belli della mia produzione. L’altro è “Tango”, presente anch’esso nel disco. L’idea di rilanciarla in duetto con Mengoni m’è venuta dopo averlo ascoltato esibirsi in un locale delle Tremiti. Prima non sapevo nemmeno chi fosse. Una grandissima canzone aveva bisogno di un grandissima voce come la sua».
Perché al titolo del pezzo dei Cetra ha aggiunto l’aggettivo “prode”?
«Perché è così che lo chiamavo canticchiandolo da ragazzo. La “leggenda del prode Radamès” è infatti la storia di uno sbruffone “pieno di quattrini” che pensa di poter acquistare tutto, pure la vita delle persone. Attinenze con la realtà di oggi? Certo, ma non solo quella che viene subito in mente; un po’ Radamès, tronfio e dissoluto, era pure Gheddafi, pace all’anima sua. Mi piaceva la lettura satirica del brano, che grazie anche all’arrangiamento di Mauro Malavasi mette l’accento sullo spirito jazz con cui lo compose Sam Coslow».
Dopo aver scritto per Pupi Avati le musiche de “Il grande cuore delle ragazze” ha in cantiere altri progetti cinematografici?
«Da un anno e mezzo sono al lavoro sulla colonna sonora del Pinocchio animato di Enzo d’Alò, in corsa per il prossimo Festival di Cannes, ma anche quella di “AmeriQua”, il film scritto e interpretato da Bobby Kennedy III, con Alec Baldwin, Giancarlo Giannini e Alessandra Mastronardi. Poi sarà la volta delle musiche per la nuova commedia di Vincenzo Salemme».
In questo disco con “Anema e core” riaffiora pure la sua passione per la canzone partenopea.
«Mentre canti certi capolavori della tradizione campana capisci che sta tutto lì il cuore della grande musica del Novecento, altro che Beatles... Confesso che, se non fossi bolognese, per essere nato a Napoli darei anche due parrucchini».