Londra, 21 gennaio 2012 - PER FARE DA SFONDO alle riflessioni sull’inverno dell’anima che gli trascinano dietro quei 77 anni compiuti lo scorso settembre, Leonard Cohen sceglie la cornice uggiosa della Londra di fine gennaio. Anche se gli stucchi e i velluti fra cui annoda le canzoni dell’ultimo album 'Old ideas', nei negozi fra dieci giorni, sono quelli sfavillanti dell’May Fair Hotel. "Durante l’ascolto vi guarderò negli occhi uno ad uno per capire cosa ne pensate" dice il musicista ai giornalisti arrivati da tutta Europa prima di sedersi tra loro e ascoltarsi queste dieci nuove canzoni come fosse la prima volta. Ma, una quarantina di minuti dopo, l’applauso che scioglie le ultime note di 'Different sides' vanifica ogni ansia, spingendolo a ringraziare stringendosi il cappello al cuore. Cohen dice di avere capito solo a questa età le istruzioni per l’uso della sua voce e verrebbe da credergli mentre dall’amplificazione quella voce baritonale densa e cavernosa ("se non fumassi sarebbe probabilmente da soprano") s’insinua nella dolorosa rassegnazione di 'Going home'. "Amo parlare con Leonard, lui è uno sportivo e un pastore, un pigro bastardo che vive in un abito elegante" ammette il testo non senza una punta di autocompiacimento. "Forse ho esagerato con l’abito elegante...", chiosa lui accennando sotto al cappello ad un garbato sorriso. Anche se a puntare il ditto contro il tempo che scivola tra le dita, annerendole con l’inchiostro di un vissuto duro da lavare via, è soprattutto quella 'The darkness' ascoltata pure in tournèe, 247 concerti in due anni davanti a quasi due milioni di fan a cui non è detto che questa nuova fatica formato cd non possa aggiungere un’ulteriore coda. "Non ho futuro, so che i miei giorni sono pochi, ma il presente non è poi così piacevole", canta Cohen vestendo i panni del 'beautiful loser' alla ricerca di un dignitoso tramonto. Più l’ascolto prosegue e più la chiave di lettura dell’album sembra diventare quella del blues. L’Hammond di brani come 'The darkness' o 'Different sides', l’armonica di 'Lullaby', il mesto violino di 'Amen', la sensualità notturna di 'Anyhow' spingono verso questa direzione.

MA IN REPERTORIO ci sono pure brani di segno diverso come “Crazy to love you” dedicata da Leonard alla compagna d’arte e di vita Anjani Thomas, con cui aveva già inciso un apprezzato “Blue alert”. Dall’ultimo album in studio a suo nome “Dear Heather” sono passati più di sette anni e forse ne sarebbero trascorsi altrettanti se l’urgenza di ripianare con un tour (monumentale) il vuoto di cassa lasciato dall’ex manager Kelley Linch, volatilizzatosi con quasi 5 milioni di dollari dei suoi risparmi , non avessero costretto il “pigro bastardo” a scuotersi dai suoi torpori rimettendo in moto quel processo creativo che lui paragona alla ricerca del miele nell’arnia da parte dell’orso. «Tutto alla fine può risolversi in un incredibile piacere o in un indicibile dolore, ma non puoi farci nulla. E’ la vita». Prodotto da Ed Sanders, “Old ideas” è il dodicesimo capitolo di una discografia iniziata da Cohen nella seconda metà degli anni Settanta quando raccolte di componimenti poetici come “Confrontiamo allora i nostri miti” o “Le spezie della terra” gli avevano confezionato una solida reputazione letteraria. «Qui a Londra qualche giorno fa sono tornado nella viuzza di Hampstead dove presi casa nel ’59» ricorda. «Stavo in affitto da una signora che come prima cosa mi chiese che mestiere facessi. Lo scrittore, risposi. “E quanto scrivi?”. Circa tre pagine al giorno, replicai. “Bene, mettiti al lavoro perché da oggi controllerò e sappi che se batti la fiacca quella è la porta. “Il gioco preferito”, mio primo volume di novelle, è nato così».