di MARA PITARI

Bologna, 22 marzo 2014 - Un biglietto per Berlino e una valigia di progetti ambiziosi accompagnati dall’entusiasmo di chi, 23 anni fa, con lo stupore negli occhi di un bambino assisteva per la prima volta al concerto dei Cure. Era il 1991 e Riccardo Sabetti, leader della band new wave italiana Spiral69, aveva 11 anni e una passione nascente per il post-punk inglese. La stessa passione che, in questi giorni, porta la band davanti al pubblico tedesco (nello storico K17 berlinese, data sold out) con l’anteprima del nuovo lavoro “Alone”, in uscita ad aprile, e presto catapulterà il gruppo direttamente sullo stesso palco di Robert Smith e soci, icone sonore di una intera generazione cresciuta, tra gli anni ’80 e i ’90, a pane e alternative rock.  (VIDEO - NAKED)

Riccardo, aprirete i concerti dei Cure? Che effetto fa? “E’ una di quelle cose che non realizzi mai del tutto – risponde il fondatore e cantante del gruppo -. Robert Smith (storico leader della band inglese, ndr) mi scrisse un anno fa una mail emozionante in cui annunciava anche il prossimo tour dei Cure: il gruppo sarà in Italia a settembre per tre date e noi dovremmo suonare prima di loro. Mancano solo le ultime conferme”.

Come vi siete conosciuti? “Ci ha messo in contatto il fonico comune”.

Spiral69 nasce nel 2007 come progetto solista. Qual è l’evoluzione che ha portato alla formazione di una band con quattro dischi all’attivo? “Durante quell’anno abbandonai gli Argine, realtà musicale ai più sconosciuta ma importantissima nel panorama dark wave italiano. Era estate ed ero disoccupato. Così registrai un disco quasi per gioco. Ebbe un successo di critica inaspettato tanto da far partire un tour. Così è nato un altro disco e nel 2010, io e i musicisti che collaboravano al progetto siamo diventati una band”.

Durante la tournée del 2010 gli Spiral69 incontrano Steve Hewitt, batterista dei Placebo. E’ nata un’amicizia. In che modo? “Per caso, durante un concerto. Proprio come succedeva tra musicisti negli anni ’70. Steve aveva un gruppo parallelo e si innamorò della nostra musica al punto da chiamarci a suonare con lui in tutta Europa. Dopo sei mesi dalla tournée ci chiamò per dirci che ci avrebbe prodotto il disco, il nostro terzo”.

Cure, Placebo e poi Frank Arkwright, ingegnere del suono per The Smiths, Joy Division, Arcade Fire, Coldplay, Oasis. Un’altra stella musicale impreziosisce, stavolta, il vostro nuovo lavoro, che arriva ad appena un anno da “Ghosts in my Eyes”. Perché proprio lui? “Frank per me è un’icona. L’ho contattato io e incredibilmente ha risposto: ha accettato di collaborare a patto però di poter lavorare nei famosi Abbey Road Studios londinesi, dove lui si sente a casa”.

Parliamo del disco. ‘Alone’ è un minialbum di sei ballate che raccontano l’amore in diverse sfaccettature e attraverso il classico suono dark rock tipico degli Spiral69. Qual è l’essenza? “Credo sia il disco più bello che abbiamo fatto. Ha una marcia in più: l’emotività dei contenuti. Un aspetto che rispecchia lo stato d’animo con cui è nato: i brani sono stati scritti in due settimane e la registrazione è avvenuta in un mese. E’ un disco spontaneo, libero e aperto. C’è dentro il lavoro di persone che vengono da luoghi e culture musicali differenti (Napoli, Roma e il resto del mondo). E poi abbiamo sperimentato una tecnica nuova: il lavoro online. Alcune parti sono state scritte in Italia e incise altrove: l’orchestra, ad esempio, ha suonato per noi a Los Angeles. Il nostro batterista ha inciso a Oslo. Senza il web tutto questo non sarebbe stato possibile”.

Quali sono le ispirazioni musicali degli Spiral69 (l’ensamble è formata da Riccardo Sabetti, voce, basso, chitarra, programmazione; Enzo Russo, chitarre; e Andrea Freda, Batteria)? “A me piace la musica beat degli anni Sessanta ma la mia cultura musicale è dark wave e risente del post-punk degli anni ‘80/’90, il periodo di Manchester, l’ambiente da cui sono nati i Joy Division, i Cure, e altre icone della musica di quegli anni”.

Si può raccontare l’amore e la dolcezza anche attraverso un genere musicale ruvido e oscuro come il vostro? “Sì, in realtà questo genere musicale è molto romantico e ha una malinconia di fondo. La musica ha poi in sé un aspetto di sofferenza che è anche terapeutico e questo ha a che fare con l’amore. Del resto, per citare Luigi Tenco: io quando sono felice esco, mica scrivo canzoni!”

‘Alone’ è prodotto da te e dalla tua neonata etichetta Rehab Records. Hai deciso di scommettere sulla produzione in un momento in cui il mercato musicale italiano non gode di ottima salute. E’ una scelta coraggiosa… “Credo che questo sia il momento migliore per farla proprio perché molte etichette non fanno più bene il loro lavoro. Nel prossimo anno mi piacerebbe dare supporto a band emergenti valide che hanno avuto gli stessi problemi che abbiamo avuto noi all’inizio quando quel supporto di cui avevamo bisogno ci è mancato”. Del resto l’Italia è un paese musicalmente ostico: fa fatica a coltivare il proprio orto”.

Dove vi si potrà ascoltare in Primavera? “Saremo a Roma il 9 maggio e nello stesso mese anche a Milano (la data è ancora da stabilire). Poi suoneremo anche ad Atene e in Germania e stiamo cercando di partecipare a diversi festival”.