OSLO, 27 MAGGIO 2014 - “Se potessi conficcarmi un coltello nel cuore / un vero suicidio sul palcoscenico / sarebbe abbastanza per voi giovani famelici” canta Mick Jagger nella bolgia della Telenor Arena di Oslo virando le suggestioni più forti di una “It’s only rock’n’roll (but I like it)” dai sapori rock-blues in un dolente spaccato di vissuto. (FOTO)

Il suicidio della compagna L’Wren Scott, a New York lo scorso marzo, s’allunga fatalmente sui destini del 14 On Fire Tour partito dalla Norvegia nell’attesa di sbarcare in Italia il 22 giugno, al Circo Massimo di Roma. Una celebrazione rock aperta da Sir Mick, Keith Richards, Charlie Watts e Ron Wood con la forza tellurica di una “Jumpin’ Jack Flash” (VIDEO) cantata a squarciagola dai ventiduemila dell’Arena, dopo che sui maxischermi ai lati e sullo sfondo del palco, delimitato da una smisurata cornice decò dalla colorazione cangiante, quella linguaccia strafottente divenuta grazie al designer John Pasche un logo del rock (l’originale è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra) aveva finito di grondare sinistre gocce di sangue.

Come detto, “It’s only rock’n’roll (but I like it)” è un tuffo al cuore sollecitato da immagini del popolo stoniano nel tempo, la poco frequentata “All down the line” un’incursione nella storia della musica che sfoglia l’album in bianco e nero di idoli come Elvis, Howlin’ Wolf, Louis Armstrong, Charlie Parker, Miles Davis, Sonny Rollins, Chuck Berry, Little Richards, Muddy Waters, Tina Turner.

Superata pure “Tumbling dice”, Jagger si siede al piano per introdurre “Worried about you”, balzando poi tra i solchi dell’ultima antologia “Grrr!” con l’inedito “Doom and gloom” e l’animazione di un aereo che si schianta sullo schermo. “Let's spend the night together” è il classico “on demand” scelto dai fans norvegesi sul sito della band fra una cinquina che comprendeva pure “Get off off my cloud”, “When the whip comes down”, “Doo doo doo doo doo (Heartbreaker)”, “Live with me”, “Just in my immagination (running away with me)”.

Sono 65 i brani messi a punto, infatti, per questo tour da Jagger, Richards, Watts e Wood – affiancati sulla scena da Darryl Jones, basso, Chuck Leavell, tastiere, Bobby Keys e Tim Ries, fiati, Lisa Fischer e Bernard Fowler, cori – durante le prove dello scorso febbraio negli studi Planet Live di Bondy, alla periferia di Parigi, prima di spostarsi ad Abu Dhabi per il varo del tour; fra questi pure “Emotional rescue”, impreziosita nella notte norvegese da un assolo al sax di Keys.

Un altro tassello irrinunciabile dell’epopea quale “Honky tonk women” fa da prologo a due canzoni interpretate da Keith Richards: una “You got the silver” blueseggiante, tutta chitarre acustiche e spazzole e una “Can't be seen” elettrica, anche se stonata in maniera invereconda. Già ospite del precedente 50 & Counting Tour, suggellato l’estate scorsa con la doppia esibizione ad Hyde Park (e relativo cd/dvd dal vivo), Mick Taylor ribadisce tra le pulsioni blues di “Midnight rambler” perché è considerato ancora oggi forse il miglior chitarrista Stones. Al suo fianco Jagger con l'armonica.

Miss you” mette invece tra le mani del cantante una Fender fiammante e “Gimme shelter” gli regala un affondo di crudele attualità (“La guerra, bambini, è lontana solo uno sparo, è lontana solo uno sparo / Stupro, omicidio, è lontana solo uno sparo, è lontana solo uno sparo / Mmm, l’alluvione sta minacciando proprio la mia vita oggi / Dammi, dammi un rifugio o io svanirò”) con la complicità vocale di una Fisher superba. L’epilogo poggia sulla corsa senza fiato che da “Start me up” porta alla infernale “Sympathy for the devil “ e all’altrettanto obbligata “Brown sugar”.

Fine dei tempi regolamentari, ma il ventiduemila non ci stanno e “You can't always get what you want” li prende alle spalle come una finta di Cristiano Ronaldo grazie alle voci angelicate dell’Edvard Grieg Choir (ingaggiato con un’e-mail lo scorso primo di aprile e proprio per questo timoroso, come confessato alla stampa locale, che si trattasse di uno scherzo) ideale sottofinale prima dell’inevitabile tripudio di “(I can’t get no) Satisfaction”.

Mentre le recenti elezioni denunciano un aumento in Gran Bretagna dell’euroscetticismo, la band più rappresentativa del paese e meno politicizzata del pianeta - disposta, pur di esibirsi a Macao e Shanghai, a chinare la testa senza troppa riluttanza davanti alle pretese della censura cinese - parte alla conquista del vecchio continente sotto il fuoco amico di Roger Waters e Nick Mason che l’hanno esortata pubblicamente a cancellare il primo concerto israeliano della sua carriera, in calendario il 4 giugno, reputando la Tel Aviv di oggi uguale alla Sun City dei tempi dell’apartheid sudafricana. Pretesa accolta finora con assordante silenzio.

 

di Andrea Spinelli