Napoli, 6 giugno 2013 - La strada dell’agguato è semibuia e deserta. Un uomo è per terra, morto, investito da un’auto. Mezz’ora dopo un magazzino di stoccaggio e export di borsetteria, sul cancello una Madonna Immacolata trivellata di colpi, è un inferno di fuoco. Sono le tre del mattino, l’umidità sale dai campi intorno San Vitaliano, fra Nola e Sarno, profondo hinterland napoletano. Rabbrividisce la schiena. Fa lo stesso effetto dei kalashnikov accatastati sul ciglio della strada. Nebbia e brina sono fredde e vere, i colpi sono raffiche a salve che spaccano i timpani ma bisogna trattenere i sussulti, o il uno scatto di paura perché il regista Stefano Sollima vuole il silenzio assoluto.

Si gira in presa diretta 'Gomorra', la serie, in una notte qualsiasi delle trenta settimane necessarie alla lavorazione di questo film per la televisione. Prodotto da Sky con la Fandango di Domenico Procacci (suoi sono i diritti per le trasposizioni cinematografiche e televisive dell’opera di Roberto Saviano) e Cattleya di Riccardo Tozzi e la tedesca Beta; distribuzione prevista in 50 paesi del mondo. Un colosso a più teste: ideato da Saviano che ha partecipato anche alla stesura del soggetto, diretto da tre autori del cinema italiano quali Stefano Sollima (suo il serial 'Romanzo Criminale'), Francesca Comencini e Fabio Cupellini. Storia di camorra che ha richiesto tre anni di scrittura e ora è più o meno a metà lavorazione per essere pronto alla messa in onda nel 2014.

Per chi sta dietro al monitor di regia, per gli attori, per le comparse e gli attori in gran parte di strada è difficile maneggiare fucili veri con spari finti perché se non è oggi è stato ieri o sarà domani che la fiction diventa realtà tragica, quotidianità dei quartieri di Scampia, Conticelli, Secondigliano. Il confine è sottile, Marco D’Amore il giovane protagonista del serial ha imparato a smontare una Beretta in pochi secondi e pensa che "a Scampia c’ho gli amici, i parenti e che qualcuno se sa rimontare una pistola in una manciata di attimi c’è, e quella spara per davvero". Non è stato facile nemmeno entrare con una troupe cinematografica all’interno della gomorra napoletana. Prima, il rifiuto netto: la gente per bene si è stancata di fare il fenomeno da baraccone, poi l’inserimento e l’accettazione, coinvolgendo i cittadini comuni. "Ma era necessario - spiega Sollima in una pausa del set notturno - per rappresentare il Male bisogna starci dentro, con timori, col rischio di mitizzarlo, di generare eroi positivi da criminali di strada. Come sfuggire a questo pericolo? Con l’onestà. Rappresentando, non giudicando, e credete che non è cosa facile perché di fiction si tratta, non di un documentario". Non aspettatevi però la trasposizione televisiva del romanzo di Saviano. "Il suo libro è un universo che contiene decine di altri mondi, il film di Matteo Garrone è uno, in questo nostro film tv ce n’è un altro. Ma se ne potrebbero fare altri dieci di film da quel libro".

Il confine tra realtà e finzione non è mai stato così labile: il 'Sistema' è una piaga contemporanea. Per entrarci dentro, con la camorra bisogna fare i conti. Come. "Coinvolgendo la gente perbene, perché di quella il Sistema ha paura, non s’intromette". A tracciare la linea guida del "come" è Gaetano Di Vaio, oggi produttore cinematografico, ma "un delinquente sono stato, di quelli brutti". Con nove anni nell’Alcatraz di Poggioreale da cui è uscito nel ’98 ha regolato i conti con la legge. Condannato per spaccio di droga dentro a Scampia, rapine a mano armata, furti "e varie altre cose da delinquente, ma omicidi mai. E sempre fuori. Mai stato camorrista. Può succedere anche questo, mi ero creato una piazza di spaccio mia, ho durato tanto, ma alla fine sono finito dentro". S’intitola 'Non mi avrete mai' il libro autobiografico che ha scritto e per Einaudi (in libreria fra una ventina di giorni). "Posso dire di aver fatto il mediatore per l’ingresso del cinema nella Gomorra di Napoli, senza trattare con il Sistema, ma allontanandolo. Prima parlando con la gente comune, poi con le associazioni di territorio, infino con le istituzioni, in ultimo il sindaco De Magistris".

Riprese nei luoghi bollenti senza security e senza Forze dell’ordine in lavoro straordinario. "E poi - conclude il supervisore alla regia Sollima - questa è una storia inventata. I clan Savastano e Conte della fiction non esistono, non sono riconducibili a nessuno in particolare, ma la realtà della violenza e della predestinazione a una vita da criminali dei protagonisti camorristi è reale. Questa sì". Come il gelo della notte di San Vitaliano. Come i kalashnikov e le mitragliette M12 accatastate su un marciapiede di periferia.

I PROTAGONISTI - In 'Gomorra' il clan dei Savastano è una delle organizzazioni più potenti e influenti di tutto il Napoletano. A capo del clan c'è Pietro, un boss vecchio stampo, temuto e rispettato da tutti. Al suo fianco, il braccio destro Ciro Di Marzio detto Ailandèr, di cui Pietro si fida ciecamente. Pietro ha un erede designato, suo figlio Genny, un ragazzo di vent'anni che si porta addosso centoventi chili e il peso di una vita che non ha scelto. Genny sa di non essere all'altezza del padre, ma sa anche che, quando Pietro deciderà di ritirarsi dagli affari, toccherà proprio a lui guidare l’impero dei Savastano, un impero fatto di ogni genere di affari illeciti, dallo spaccio, agli appalti truccati, al business dei rifiuti. Ciro è interpretato da Marco D’Amore, trent’anni, con alle spalle 'Una vita tranquilla' di Cupellini e davanti un altro ruolo sempre con lo stesso regista. "Per 'Gomorra' - dice - ho perso venti chili in due mesi, sono stato a lezione dal maestro d'armi, che prima non avevo mai toccato e adesso so bene come montare smontare impugnare un Kalashnikov".
Ma un clan rivale insidia il predominio dei Savastano, quello guidato da Salvatore Conte, pronto a tutto pur di strappare il controllo del territorio al boss. All'indomani di una serie di sanguinosi scontri tra le due organizzazioni criminali, Pietro sembra avere la meglio, ma le forze della legalità lo portano dritto in carcere. Per i Savastano si apre una nuova era: Pietro finisce nelle maglie del 41 bis, grazie all'intervento di un direttore di carcere che non si piega alle logiche della corruzione.

Sarà Imma, la moglie di Pietro, a prendere inizialmente le redini del clan e a gestire gli affari di famiglia. Un ruolo femminile affascinante e difficile, ben disegnato dall’attrice Maria Pia Calzone guidata dalla sensibilità femminile di Francesca Comencini che ha diretto gli episodi in cui Imma è la figura centrale. "Gestire il potere  - ha detto l'attrice, napoletana d’adozione - è eccitante, ma è ovviamente è uno stato che come cittadina non condivido, anche se all’interno della storia ha un significato importante".
Torniamo alla vicenda. Dopo aver neutralizzato Ciro  - che vorrebbe approfittare del vuoto di potere per la scalata che sogna da tempo - e suo stesso figlio Genny, considerato ancora inadeguato per l’incarico. Dopo un lungo periodo in Honduras, però, Genny, tornato a Napoli, è pronto per prendere il comando. E mentre uno dei suoi giovanissimi soldati vive una storia di redenzione e tradisce il sistema, un alleato di sempre trama nell'ombra per scalzarlo, e per farlo riaccende la guerra con il clan Conte. La guerra per conquistare i vertici del Sistema è appena cominciata…

dall’inviato Annalisa Siani