Milano, 11 febbraio 2011 - “Il calcio mi ha dato tanto soprattutto quando ero in campo, e alla fine del mio racconto scrivo questo: se dovessi rinascere un'altra volta non farei che un mestiere, il calciatore”. Quanta Vita, con la 'v' maiuscola. Distante anni luce dall'oggi, quando il pallone a volte viene celebrato troppo e male fuori dal campo. Eppure è la fine di un racconto bello come il calcio, quello vero però. Giuseppe Meazza aveva un sogno. E l'ha realizzato, ma doppiamente. Voleva diventare una leggenda per se stesso. Lo è diventato anche e soprattutto per gli altri.

Un simbolo, un campione che viene raccontato in maniera commovente dal nipote Federico Jaselli Meazza e dal giornalista Marco Pedrazzini in 'Il mio nome è Giuseppe Meazza' (ExCogita Editore, 290 pagine, 35 euro). Un libro colpisce al cuore perché è raccontato in prima persona. I due autori hanno raccolto le vecchie lettere del folber, 'il football', come lo ribattezzò Gianni Brera. Con l'aiuto dei familiari hanno ricostruito una carriera fatta di vittorie, scoramenti, sacrifici, guerra e amore. Un libro imperdibile per tutti i tifosi dell'Inter. Ma anche un'opera irrinunciabile per chiunque voglia sapere com'è nato il calcio nel nostro Paese. E ricordare una persona seria come poche.

Il tono del racconto è confidenziale. La confessione sussurrata di un amico. Leggendo il libro si respirano la terra e il sudore di un calcio che fu. Dalla gioventù ruggente a Milano, all'Iris 1914. Passando per la passione per l'atletica, fino all'incredibile presidenza a 13 anni della Costanza A.S. Poi l'approdo all'Internazionale di Milano (giocò anche nel Milan, ndr), con l'esordio in prima squadra nel settembre del 1927. Sulla Gazzetta dello sport passò per essere una “riservetta di qualità”.

Ma poi l'ascesa fu inarrestabile. Tre scudetti con l'Inter, 284 gol totali e due Coppe del Mondo con la sua amata maglia azzurra. A corredo i vecchi articoli dei più importanti quotidiani sportivi, i ricordi degli amici e dei giornalisti che ne raccontarono la scomparsa, la sensibile e asciutta analisi delle figlie Silvana e Gabriella.

Ma quello che colpisce di più è l'imponente, prestigioso archivio fotografico. La famiglia ha fornito una serie di fotografie inedite, bellissime. Vediamo 'Peppìn' Meazza nelle diverse stagioni della sua vita, circondato sia dagli avversari sportivi, sia dalle persone che lo hanno amato di più. Un viaggio di immagini che rimane impresso come il “goal alla Meazza”: dritto verso il portiere, invito all'uscita, dribbling secco e palla in rete.

Edgarda Ferri, giornalista del Corriere dell'Informazione, il 23 agosto del 1979 (due giorni dopo la scomparsa di Meazza) ricordò che fu il primo grande calciatore amato dalla gente. E per lui nacque la compravendita di autografi tra tifosi. Ecco, alla fine del libro la voglia è proprio quella: farsi fare un autografo da Meazza. Un gesto di signorilità che una volta era anche uno sguardo. Era tutto, come il campo per Peppìn.