Roma, 1 aprile 2011 - Grinta e fair play. Un abbraccio tra concetti molto anglossassone. Oseremmo dire anche canadese, visto che parliamo di Carolina Morace: “Abbiamo battuto l'Italia per 1-0. Ma non era la mia rivincita”. Per la serie togliamoci il sassolino dalla scarpa, ma con garbo. Lei è un'icona dello sport italiano e del calcio femminile: ben 153 presenze con la nazionale azzurra, 105 gol con l'Italia e più di 505 reti tra Lazio, Reggiana, Milan e tanti altri club.

Quarantasei anni, ora allena la nazionale di calcio femminile del Canada. Che prima era allo sbando, adesso invece fa paura alle grandi vecchie del football rosa. L'obiettivo di Carolina è chiaro: ben figurare ai mondiali che si terranno la prossima estate in Germania. Dove non ci sarà l'Italia, ma la Morace si. Poi l'allenatrice veneziana se ne andrà da Toronto, per raggiungere nuove sponde e togliersi altri sfizi. Sempre che in Canada non la leghino alla poltrona.

Mister, come va l'avventura canadese?
“Molto bene. Siamo un bel gruppo, le ragazze mi seguono con grande entusiasmo. Ci stiamo allenando a Roma per preparare bene i prossimi tornei prima dei mondiali. Ce ne andremo il 19 aprile, poi lascerò alle ragazze 10 giorni di scarico. Insomma, tutto pianificato alla grande, siamo organizzatissimi”.

Sono passati due anni dalla nomina in panchina. Qual è il bilancio?
“Ottimo, e dico poco. Io ho cominciato che eravamo 13esime nel ranking Fifa. Ora siamo seste. E soprattutto siamo temute da tutti. Quest'estate andremo a giocarci i mondiali in Germania ed esordiremo proprio contro le padrone di casa: adrenalina a mille e il risultato non è affatto scontato”.

Ma ricordiamo ai meno attenti la simpatica storia di come arrivò ad allenare il Canada.
“Mi ha segnalato la possibilità dell'impiego Joe Parolini, che attualmente fa parte del mio staff. Ho fatto prima 2 stage in Canada, poi mi hanno fatto fare un colloquio selettivo di gruppo”

Come un colloquio. A un'icona del calcio femminile come Carolina Morace.
“(ride) Si, per loro aveva poco importanza chi fossi, quale fosse il mio curriculum. Ho dovuto sostenere la cosiddetta 'interview' a Vancouver. Alla fine l'ho spuntata io, ma che fatica. Forse avevano qualche dubbio rispetto alla lingua, ma poi non c'è stato nessun problema. Con le ragazze ormai la sintonia è perfetta. Merito anche del mio staff”.

Che ci risulta essere tutto italiano.
“Si, siamo una squadra di tecnici che si conosce alla perfezione. Mi sono portata dietro la mia amica Betti Bavagnoli, che è la mia assistente insieme alla preparatissima Andrea Neil. Come preparatore dei portieri o Max Colucci e come preparatore atletico Mario Familari. Professionisti seri che mi hanno permesso di insegnare calcio in una maniera più moderna”.

Ecco Carolina, come è riuscita a trasformare i risultati di questa squadra?
“Attraverso un lavoro specifico. Prima psicologico, poi sulla metodologia di allenamento. Queste ragazze credevano poco in loro stesse. Andavano spronate, convinte, consigliate. Le ho trovate a terra psicologicamente e con un lavoro lento e minuzioso, insieme con il mio staff, siamo riusciti a plasmare un gruppo vincente. Il secondo aspetto, fondamentale, è stato quello dell'allenamento. Loro si preparavano utilizzando metodi mutuati dagli sport maschili in vigore in Canada, tipo l'hockey e il baseball. Quindi molta forza fisica, resistenza, corsa dritta basata unicamente nella potenza. Ma sbagliano a voler allenare tutti gli sport alla stessa maniera. Noi ci siamo messi di buona lena e abbiamo cambiato completamente gli allenamenti, tarandoli ovviamente sugli schemi calcistici. Abbiamo introdotto l'agilità, il possesso palla, un'aerobica fatta bene, la psicocinetica. Anche l'alimentazione, totalmente sballata in partenza. Insomma, tanti concetti che loro non applicavano in allenamento. Il nostro lavoro di equipe, all'avanguardia, ha permesso a questa squadra di crescere tantissimo. E io ne sono orgogliosa”.

Quindi ci pare di capire che il suo rapporto con le ragazze è splendido.
“Ormai si. Ho un gruppo di donne intelligenti che hanno saputo rimettersi in gioco. Hanno reagito bene al cambio di registro”.

Ma come le convoca? In Canada non c'è un campionato femminile vero e proprio.
“No, purtroppo no. Ci sono i tornei universitari, molto importanti, e poi dei veri e propri centri di reclutamento dove io visiono le ragazze e le scelgo. Le prime volte è stato difficile, poi una volta creato il gruppo non ci sono stati più problemi, siamo giovani e ben amalgamati. Più difficile è fare le convocazioni per Under17 e Under20. A 15-18 anni tendi a perderle perché si iscrivono all'università e scelgono altre vie. Purtroppo a quell'età non sono seguite. Non ci sono allenatori che le indirizzano e loro non conoscono a fondo il gioco del calcio. Non lo guardano nemmeno in tv, perché gli sport in voga in Canada sono altri. Hanno soltanto la MLS, il campionato americano maschile, che però secondo me fallirà. E' come la Nba: cercano di tirare su i giocatori o per nome o per via universitaria. Ma non esiste un movimento decente che consenta agli atleti di crescere sportivamente. Quindi ecco, per una ragazza che vuole giocare a calcio in Canada non ci sono genuini punti di riferimento. Il e il mio staff stiamo cercando di capovolgere quell'ordine di idee”.

In Italia il movimento sembra tornato all'anno zero. Cosa sta succedendo?
“Ho affrontato le azzurre in un torneo a Cipro e le ho battute 1-0. Un risultato inaspettato. Non cercavo rivincite, per l'amore di Dio. Durante l'inno ho sentito il solito, bellissimo brivido. Anche per questo mi dispiace vedere l'Italia rosa fuori dal Mondiale. Ma da noi paghiamo la malattia di un movimento che non tira”.

Eppure quando lei era in campo sembrava fosse in crescita.
“Lo era, ma è stato un periodo effimero. Ora il calcio femminile è tornato nel dimenticatoio. Non ci investono i club e quindi nemmeno i media. Ma come potremmo paragonarlo per esempio all'Inghilterra? Lì spendono milioni di sterline per le squadre, le partita con Arsenal, Manchester United e Liverpool sono sempre piene di spettatori. Hanno un campionato supercompetitivo e questo si ripercuote sulle competizioni internazionali”.

Molto spesso i calciatori finiscono sui giornali per condotte antisportive e atteggiamenti sbagliati. Tra le donne esistono gli stessi comportamenti?
“In Italia sicuramente. Da noi le donne scimmottano gli uomini. In tutti gli ambiti lavorativi e anche nel calcio. In Canada invece no. Anzi, devo dire che le mie ragazza sono incredibilmente disciplinate. Mi ascoltano con attenzione, sono educate, hanno un grande senso di responsabilità. Ecco, queste sono le cose giuste che sanno trasportare dagli altri sport nel calcio. Il pallone, per quanto all'avanguardia per tecnica e metodi di allenamento, deve ancora insegnare molto a livello comportamentale”.

Platini vorrebbe più donne a capo delle istuzioni sportive. Cosa ne pensi?
“Che sarebbe bello e utile. L'emisfero maschile e quello femminile sanno integrarsi alla perfezione. Il calcio avrebbe bisogno di un corretto inserimento delle donne nelle stanze dei bottoni”.

A lei piacerebbe diventare dirigente?
“Non ci ho mai pensato, non saprei. Mi piace di più il campo”.

Le donne e la voglia di mettere su famiglia. Quanto incidono nel calcio femminile queste scelte?
“Incidono poco fuori dall'Italia perché noi, a livello di concezioni familiari, siamo alla preistoria. Nei Paesi anglosassoni le mamme giocatrici possono lasciare i bimbi nelle nursery durante le partite e sono costantemente aiutate dalle società. In Italia vabbè, il problema nemmeno si pone. Sullo sport si ripercuote il problema della nostra società: non si fanno più figli, scoppiano le crisi dei nuclei familiari. C'è da dire che il campagno/marito di una calciatrice deve essere comprensivo e paziente. In due tutti i problemi si risolvono”.

In Italia ha allenato la Viterbese di Gaucci nel 1999. Polemiche e incomprensioni le costarono la panchina. Lo rifarebbe?
“Si, certo. Ma credo che oggi finirebbe allo stesso modo (esonero dopo due partite di campionato, ndr)”

Lei crede che sarebbe quindi riproponibile.

Certo, perché no. Ma oggi, come allora, una donna non ha le stesse possibilità di un uomo. E' ancora inconcepibile che una donna possa allenare senza avere problemi. A me, per essere sinceri, non state fatte più proposte serie in Italia per allenare sia in campo femminile, sia in campo maschile. E questo è strano secondo me. Molti professionisti come me, molto preparati, non vengono chiamati perché gli vengono preferiti personaggi sportivi più mediatici. Magari presi da altri sport. Penso all'esempio di Montali nella Juve e nella Roma, ma ce ne sono tanti altri. Tanti bravi conoscitori del calcio sono a spasso, non me lo spiego”.

Si è sentita accantonata in questi ultimi anni?
“Non proprio. Però è innegabile che qualcosa sia cambiato. Non mi cercano più nemmeno in tv, eppure so di essere molto stimata dagli addetti ai lavori. Mi piaceva commentare sport in televisione, ma anche in quell'ambito molte logiche sono cambiate”.

Eppure di lei si parla benissimo a livello internazionale come tecnico.
“Cerco di tenermi aggiornata e di lavorare molto sul campo. Molti osservatori vengono a studiare i miei metodi e io ne sono felice. Ho preso il patentino a Coverciano, sono maturata tanto e allenare mi piace. Per cui la grinta non manca”.

Ha detto che alla fine del mondiale tedesco lascerà il Canada, conferma? La sua federazione non sembra convintissimi a lasciarla andare.
“Si, ho deciso così. Non so però cosa farò. Sto parlando ol mio staff, vedremo il da farsi. Abbiamo avuto diversi contatti, ma nulla di concreto. Ci voglio pensare bene perché sarà una scelta importante”.

La delusione di Carolina Morace.
“Non avere mai avuto in Italia le stesse possibilità degli altri”.

La speranza di Carolina Morace.
“Vincere una medaglia ai Mondiali”.