Milano, 5 maggio 2011 - Signor Seedorf, anzi Cavaliere. Da bersaglio preferito dei tifosi è diventato calciatore indispensabile e fondamentale per lo scudetto...

"Diciamo che ho vissuto in modo diverso tutto ciò che è stato creato dall'esterno, dove c'è voglia di novità. E' stato un anno bello, alcuni mesi delicati, dove solo grazie al lavoro si coninuano a fare cose importanti. Alla fine è la qualità che prevale, le motivazioni. Se io a 35 anni devo pensare di dover dimostrare ancora il mio valore dopo 850 partite in18 anni di carriera, son messo male. Io non posso dubitare di me stesso su quel che posso dare. Certo, poi qualcuno ti discrimina sull'età, dicono che per gli over 30 è tutto più difficile e difficilmente puoi lottare. L'unico modo è rispondere sul campo, e in quei momenti che è fondamentale trovare le motivazioni".

 

Eppure fino a qualche mese fa c'era chi la invitava a farsi da parte?

"La gente non può essere così cieca o essersi dimenticata di certe statistiche. Io parlo dei numeri di quest'anno. Ho giocato nel periodo in cui abbiamo scavalcato chi ci stava davanti con le 7 vittorie di fila. Certo, il merito è di tutti e non ho vinto da solo le partite perché si gioca in 11 e si vince in 25, ma io stavo giocando molto bene..e poi la continuità paga, in una squadra e in un giocatore. E invece io sono stato messo in panchina dopo 7 vittorie ed un pareggio, senza avere neppure una spiegazione. Cosa dovevo fare? Quello forse è stato il momento più difficile, ho iniziato tante panchine...".

 

Lei addirittura una volta uscì dal campo sorridendo e applaudendo il pubblico mentre un bel po' di gente la stava fischiando..

"La mia non era ironia. Io sono molto emotivo ma pure razionale. I momenti di difficoltà nello sport si superano così, anche con un sorriso, e io capisco quando qualcuno...non capisce. E non posso non sorridere a quel 90% di persone che mi ha applaudito o capisce. E poi sono una persona molto orgogliosa nel mio lavoro: se uno mi dice "sei finito" mi sta solo motivando. E la ragione per cui sono andato comunque avanti dopo tanta panchina era legato al fatto che avevo capito che il mister aveva certi pensieri su di me, sulla mia età. Questo prima mi ha fatto innervosire, perché io in allenamento continuavo a dimostrare il contrario, però poi mi ha fatto riflettere. E la rabbia mi è passata anche se continuavo a chiedermi: 'Perché devo stare fuori quando invece merito di essere in campo?' Non ho mai smesso di allenarmi bene, ma a livello personale sono riuscito in poco tempo a trasformare la rabbia in motivazione, capendo quel che aveva in testa l'allenatore, che anche all'inizio della stagione mi sostituiva. Ma ho reagito, sapendo che potevo dare ancora tanto. E tutto è girato per il meglio. Oggi non si possono avere dubbi, questo è il Seedorf dei migliori anni".

 

Al punto che adesso è dura lasciarla fuori. Come si può pensare, dunque, che non le rinnovino il contratto anche se Allegri non la vede bene?

"Non è che il mister non mi vede, anche perché io sono partito titolare con questa squadra. Allegri mi vede benissimo, poi ci sono tante cose che possono influenzare un allenatore alla prima stagione..."

 

Ma è così difficile sedersi ad un tavolino con Galliani per rinnovare il contratto?

"No, le nostre trattative sono sempre state tranquille. Io conosco il mio valore, penso di averlo dimostrato negli anni, e tutti sanno quanto tenga a questa maglia. Ora tocca al Milan, sono loro che hanno scelto di aspettare tutta la stagione per parlare con me e con altri. Non nego che nel frattempo ho ricevuto proposte importanti che ho messo da parte. Ma la mia volontà non importa, conta quella del Milan...".

 

Berlusconi l'ha già investita come allenatore. Meglio guidare la squadra dalla panchina o essere un leader in campo?

"Io voglio giocare ancora molti anni ai massimi livelli, al ruolo di allenatore proprio non ci ho pensato. Comunque è molto bello che il presidente mi veda come futuro tecnico del Milan e mi abbia già aperto le porte..."

 

E Berlusconi allenatore come lo vedrebbe? Dice che è più bravo lui a spiegare il possesso palla, lo faceva con i ragazzini...

"Lui è Il Grande Allenatore del Milan, come ogni capo di un'azienda. Lui è l'allenatore di tutti, poi è bravo a scegliere i suoi assistenti per ottenere risultati importanti".

 

A proposito del Premier: quanto è importante la presenza della figlia Barbara al'interno del club dopo che per mesi si è parlato di possibile cessione del Milan?

"E' molto positiva. L'energia e la presenza della proprietà fa sempre e solo del bene. I miei amici più anziani mi dicono sempre che senza la presenza del capo non c'è la stessa energia. E la presenza di Barbara quest'anno è importante perché porta il messaggio di tutta la famiglia che ha dimostrato, ancora una volta, di tenere tantissimo al Milan e di essere vicino alla squadra".

 

Passo indietro: oggi i tifosi interisti dicono che lo scambio con Coco è stata una delle più grandi 'bestemmie calcistiche' di Moratti...

"Io pensavo solo che era un problema dell'Inter scegliere un giocatore, per quel che mi riguarda eravamo già d'accordo per separarci. Con Moratti avevo ed ho un buon rapporto, la scelta non fu sua ma di Cuper. Del resto anche Ronaldo andò via quell'anno, furono scelte pesanti...".

 

Ma se il 5 maggio fosse andato in altro modo, lei sarebbe rimasto all'Inter?

"Le dico un'altra cosa: se il 5 maggio fossi stato in campo anzichè in panchina, forse sarebbe finita diversamente. Quel momento della mia carriera mi è rimasto ancora in gola. Eravamo lì per raccogliere e non raccogliemmo nulla..."

 

Lei all'Inter conobbe Prisco e Facchetti. Quanto mancano questi due dirigenti storici ai nerazzurri?

"Persone e bandiere come loro mancheranno sempre. Gente di grande eleganza e importanza per la storia del club, e non si può sostituire facilmente. Ci vogliono anni per far crescere altri che abbiano lo stesso spessore".

 

Il gol più bello e la delusione più cocente?

"Beh, fra 120 reti c'è l'imbarazzo della scelta. Ciò che invece non dimentico è la batosta a La Coruna. Volavamo quell'anno, era forse il miglior Milan di sempre, e dovevamo portare a casa la doppietta."

 

La partita perfetta?

"Il 3-0 rifilato al Manchester in Champions".

 

A proposito. Ha vinto 4 di quelle coppe ed è uscito fra le lacrime dopo l'eliminazione col Tottenham. Era una specie di addio alla manifestazione?

"L'hanno pensato in tanti, ma era solo grande delusione, rabbia di non essere passati perché dai quarti in poi ci saremmo divertiti e poteva succedere qualsiasi cosa. E invece abbiamo visto giocare gli altri, con rabbia e impotenza...".

 

Rooney dice che è il più grande calciatore mai affrontato. Si sente più stimato all'estero?

"Ma no, mi sento gratificato anche in Italia. Forse perché mi sento italiano o mi vedono come un italiano".

 

Lei spesso parla di calcio come ruolo sociale. Vuol dire ai più giovani quali sono le vostre responsabilità?

"Noi dovremmo essere consapevoli del nostro ruolo in questo contesto, perché in tanti ci guardano e dovremmo essere d'esempio soprattutto per i bambini. E' il nostro comportamento, nel bene e nel male, che genera certe situazioni. E non mi riferisco solo ai calciatori, ma a tutto l'ambiente del pallone che è sotto i riflettori, quindi anche a presidenti e dirigenti".

 

Fa bene a dirlo. Da alcuni mesi si vedono solo botte, insulti, bestemmie, prove tv e squalifiche. Sono i giocatori troppo maleducati o è la sovraesposizione mediatica?

"E' il mondo che è fatto così. Si vede solo negatività nei giornali e nei telegiornali perché si è convinti che la negatività possa vendere meglio. Per forza, dico io, si vende solo quella! Però nel calcio ci sono anche tanti bei momenti di rispetto e di fair play durante una partita. Tutto però è nelle mani di un regista tv che decide cosa farti vedere. Ci vorrebbe più equilibrio, anche se non discuto che giornalisticamente certi episodi non belli vanno commentati".

 

Cosa pensa dei giornalisti italiani?

"Distinguiamo, qui parlo degli sportivi. Sono troppo sotto pressione, hanno poca libertà di fare il proprio lavoro. I direttori vogliono un titolo e loro vanno da un giocatore con un obiettivo..Non tutti, per carità, ma tanti si.."

 

Il suo rapporto con gli arbitri com'è?

"Buono. Sono dei colleghi, e fanno parte del gioco. I compagni d'avventura di una partita".

 

Potrebbe bastare la tecnologia a rasserenare gli animi?

"Certo. La prova tv utilizzata per fatti antisportivi va bene. Ma non basta. Gli arbitri vano aiutati, perché il fisico nulla può di fronte alla velocità del gioco. Altri sport hanno fatto dei cambiamenti importanti, perché solo nel calcio no? A me non va che si dica che "l'errore dell'arbitro fa parte del gioco". No, perché se il pallone è entrato di mezzo metro quello è gol, e l'errore umano dell'arbitro può essere aiutato con la tecnologia per non falsare l'esito di una gara".

 

Cos'è per lei la "cultura sportiva" grazie alla quale riesce a vedere anche oltre un pallone?

"E' un percorso di vita che ti dà la possibilità di imparare certe cose per poi metterle in pratica. Per me, che sono stato sempre un tipo molto curioso e ho avuto la grande capacità di ascoltare e imparare, è stato tutto più facile. Mi piace farmi tante domande, e la prima cosa al risveglio è il solito quesito: "Bello essermi alzato oggi, ma come mai succede?" Così si vivono certe situazioni in un modo più sereno..."

 

Il suo motto è: "Dare è il massimo della felicità, diventi un uomo migliore...". E' questo che l'ha spinta a portare avanti la Fondazione Champions for Children? Ed ha ottenuto quello che desiderava?

"Si, anche se la strada è lunga e io ho messo solo le basi. Ci vuole tempo per costruire tutto ma io ho tante iniziative per cercare di aiutare con il calcio i più giovani, influenzarli positivamente, dar loro una speranza. Mi rivolgo ai più giovani, ai bambini, ma pure per gli adulti. Dare qualcosa di mio agli altri, che sia una struttura, un convegno o anche delle parole di conforto, mi fa stare veramente bene".

 

E' bello vedere nel suo playground insieme i più piccoli e gli anziani...

"Certo, perché è quello il ciclo della vita. Senza gli anziani il ciclo non sarebbe completo. Io ho avuto la fortuna di incontrare e vivere con delle persone anziane fantastiche, sono loro che possono insegnare a noi giovani le indicazioni di vita e le strade migliori da seguire: il lavoro nella vita, il valore stesso della vita. Poi ognuno prende il giusto. Ma se certi consigli li recepisci al volo da bambino, poi ti restano per sempre. Come è successo a me: avevo 7 anni quando parlavo con mio nonno: lui aveva 19 figli e tantissimi nipotini, ma mi è bastato ascoltarlo 2-3 volte per trarre degli insegnamenti. Mi raccontava storie, l'importanza del lavoro, il peso dei suoi consigli è rimasto con me".

 

Suo bisnonno era uno schiavo. La sua storia familiare che idea le ha fato venire in mente sul concetto di razzismo? Cos'è, odio, mancanza di cultura, ignoranza...

"Toglierei l'odio, lascerei le altre due definizioni. Ma tutto parte dall'infelicità di certe persone che si mostrano razziste. Vede, anche in Italia si parla di razzismo, ma non è proprio così: si, c'è la dfiferenza fra nord e sud, ma ho visto persone e paesi bellissimi in una nazione come l'Italia. Forse la mancanza d'integrazione non aiuta, e questo succede un po' dappertutto. Ma il vero razzismo è un'altra cosa, ed è molto più pesante e diretto. Se ne accorgono solo le persone coinvolte...".

 

Torniamo al pallone "avvelenato". Cinque anni dopo, che idea si è fatto di calciopoli?

"Sicuramente è migliorato l'ambiente, ma non sono sono stati fatti tutti i cambiamenti che si dovevano fare. Prendiamo quel che è successo in Inghilterra: 25 anni fa gli stadi era ostaggio deglio hooligans, adesso sono i più belli e vivibili d'Europa, perché si è bonificato tutto. Il calcio ha bisogno di essere civilizzato sotto tutti i punti di vista e l'Italia deve pensare a queste cose".

 

Lei ha deciso, fra le tante attività extra-campo, di investire sul pallone. Ma a Monza ce l'hanno con lei, dicono che è causa delle disgrazie del club..Perché tanto astio?

"Dovrebbe chiederlo a chi dice queste cose. Certa gente dovrebbe invece essere felice visto che ho preso un impegno e l'ho mantenuto, con passione e affetto verso una città che mi piace tanto. Io ho messo in piedi un progetto, ma nello sport si vince e si perde. E comunque non tutto può arrivare subito, le cose si costruiscono passo dopo passo".

 

Magari sarà ingratitudine, ma sa, in Italia si fa presto a dimenticare. Prenda Lippi: dal trionfo al baratro, ora non ne parla più nessuno...

"Come mi esprimo, così mi vedo. L'Italia è un po' così, è il discorso della negatività, glielo dicevo. Appena c'è qualcosa che va male conta solo quella, mentre quando si vince tutti saltano sul carro. Così è stato anche per Lippi...".

 

Si dice che uno dei mali del calcio siano certi procuratori: da quelli che trafficano bambini promettendo sogni e niente più, a quelli che mettono con le spalle al muro i presidenti..

"Lo chiamo il "traffico della carne" nel primo caso. E' la moderna schiavitù e spero che qualcuno la fermi in tempo, anche se vedo che Platini ha già preso delle iniziative. Purtroppo la colpa è di certi loschi personaggi che agiscono indisturbati e che rovinano l'imagine di tutta una categoria. Purtroppo la colpa è del sistema che ha permesso a certa gente di fare cose orribili".

 

A proposito di cose torpide: esistono le farmacie negli spogliatoi?

"Certo che esistono, purtroppo, ma non ricordo squadre che hanno vinto perché si sono dopate, al massimo correvano più forte. Il problema è la salute dei calciatori, ma per quella c'è la coscienza di ognuno. Io grazie a Dio ho fatto controli per 19 anni, ne sono uscito sempre pulito e non ho paura di ammalarmi".

 

Siamo in chiusura: un buon motivo per restare al Milan e uno per andare via, magari al'estero...

"Ah ah, lo sapevo che prima o poi ci saremmo arrivati... Beh, vorrei restare qui perché mi piacerebbe chiudere la carriera col Milan, e poi sarebbe il decimo anno e io adoro il dieci. Quanto al discorso opposto, andrei via se il Milan non dovesse convincermi per quel che mi proporrebbe di fare..."