dall’inviato Gabriele Moroni
Cremona, 30 maggio 2012 - Gianluigi Buffon potrebbe essere ascoltato come testimone in procura a Cremona. «Non ci ho ancora pensato, ma non lo escludo», dice delle indiscrezioni circolate il procuratore Roberto di Martino. Il portiere potrebbe comparire a Cremona nelle vesti di persona informata dei fatti per la sua discussa frase «Chi conosce il calcio e lo vive giorno dopo giorno sa cosa succede. In alcuni casi si dice meglio due feriti che un morto».

Una frase, pronunciata in una intervista televisiva sulle combine nel calcio e il coinvolgimento di Antonio Conte, che potrebbe essere stata interpretata come un difesa d’ufficio dell’allenatore iuventino. «Sono affari loro — aveva aggiunto Buffon —, è chiaro che le partite sono fatte per essere vinte e sarà sempre così. Però, ogni tanto, se qualcuno fa qualche conto è giustificato». Ai giornalisti che gli chiedevano un commento il procuratore di Martino aveva risposto: «Preferisco non parlare, non commentare, ognuno dice quello che vuole».
 

Oggi sarà il giorno di Stefano Mauri. «Voglio tornare a casa». E’ un uomo scosso, preoccupato quello che riceve la visita dei difensori nel carcere cremonese di Ca’ del Ferro. Maglietta chiara, pantaloncini corti scuri, Stefano Mauri incontra i suoi legali in vista dell’interrogatorio di oggi davanti al gip Guido Salvini. Ai difensori, a don Roberto Musa, il cappellano del carcere che lo incontra con gli altri arrestati, ripete e ribadisce: «Voglio parlare con il magistrato, voglio chiarire la mia posizione».

E subito dopo, come a porsi una domanda, come a esorcizzare un dubbio: «Ma quando potrò tornare a casa?». Le ultime ore che il centrocampista e capitano della Lazio vive da uomo libero sono gioiose. E’ una domenica senza pensieri. Mauri è a Milano Marittima al matrimonio di Sergio Floccari, attaccante biancoceleste in prestito al Parma. Lo accompagna la fidanzata Miriam Della Guardia. Una telefonata guasta la serenità della giornata priva di nubi. A chiamare è uno degli avvocati del calciatore. Ha ascoltato un telegiornale che preannuncia imminenti sviluppi da Cremona dell’inchiesta sul calcioscommesse, lo invita a raggiungerlo a Roma. Mauri segue il consiglio. In serata è nello studio dei difensori.

Riparte con loro alle undici di sera, destinazione Cremona, munito di una valigetta 24 ore, della decisione di costituirsi, di un nugolo di brutti presentimenti che si traducono in indigesta realtà all’arrivo in questura dove gli viene notificata l’ordinanza di custodia cuatelare. Poco dopo le 6 del mattino Stefano Mauri varca il portone del carcere, primo degli arrestati della nuova e più copiosa ondata della inchiesta «Last Bet». La cella è al primo piano, la tv, il bagno. Il letto di Mauri è quello a castello di due nordafricani in carcere per piccolo spaccio. Mauri ha familiarizzato un po’ con loro. Mentre uno dei due confidava i suoi problemi a don Roberto ha assentito e sorriso un paio di volte come se avesse seguito la conversazione fra il cappellano e il compagno di detenzione.

Non è in isolamento, può seguire i programmi televisivi, ha visto i servizi sugli arresti e sulla conferenza stampa in questura. Dedica molto tempo alle lettura dell’ordinanza del gip Salvini. Steso sul letto, scorre, legge, rilegge le 486 pagine irte di accuse nei suoi confronti, pesanti come pietre. E’ difeso dagli avvocati Matteo Melandri, Massimiliano Pesci, Amilcare Busceti. «Mauri — dice uno dei legali — è un ragazzo integro. Ha le spalle larghe. Sa come reagire. Certo, come tanti ragazzi della sua età conosce molta gente. Abbiamo molte controdeduzioni da fare. Le faremo davanti al giudice».