Madrid, 26 maggio 2014 - L’inno del Madrid si confonde con le voci di storici cronisti che urlano le gesta dei Blancos. Siamo alla fine dello scorso giugno e Carlo Ancelotti, appena ingaggiato da Florentino Perez per sostituire Josè Mourinho — che di fronte alla maledizione della Decima s’è piegato come Superman innanzi alla kriptonite — passeggia al fianco del presidente nel lungo tunnel del museo del Real. Da un lato c’è uno schermo enorme, sul quale scorrono le immagini degli eroi madridisti, antichi e recenti, mentre alzano la Coppa dei Campioni. A sfregiare quelle immagini, una scritta enorme che appare e scompare in modo ossessivo: «9 Copas de Europa».

Carletto guarda maglie e trofei storici, si ferma a leggere il primo contratto di Alfredo Di Stefano, eppoi viene inghiottito da una sala che s’allarga all’improvviso. C’è un video di Hierro, uno che la coppa l’ha alzata tre volte, che rimbalza sulle tv appese al muro. E c’è quella teca enorme, lucida, sobria e illuminata. «Vede Ancelotti, queste sono le nove coppe dei Campioni, ne manca una». Carlo guarda il presidente e sorride. Le parole non servono, è tutto molto chiaro.

Esattamente undici mesi dopo — Ancelotti firmò il contratto il 25 giugno del 2013 — Carletto è l’uomo della Decima: «Mi accompagnò nel museo il primo giorno che arrivai a Madrid. La coppa che mancava gliel’abbiamo portata e non è stato semplice centrarla al primo anno». Per vincerla, lui e i suoi hanno sacrificato la Liga: «Ci è mancata quell’obiettivo, ma dopo il successo con il Bayern in semifinale c’è stato un piccolo cedimento, però abbiamo portato a casa il trofeo più importante al mondo e credo che basti no?».

Nella storia del calcio Ancelotti c’era già. Meno glamour di Mourinho, uomo di spot e slogan ad effetto, oltre che di trionfi. Senza un volto da film di Tarantino, come l’ultima stella della panchina, il Cholo Simeone. Ma è il più vincente di tutti. Da sabato sera, Carletto divide la panchina dell’Olimpo del calcio con il solo Bob Paisley, mitico allenatore del Liverpool in grado di vincere tre Coppe dei Campioni negli anni ’70. Ma Carlo è l’unico ad averla vinta con due club diversi.

A Madrid lo chiamano «El Pacificador», per aver rimesso insieme lo spogliatoio del Real, polverizzato dal ciclone Mou. Un soprannome pesante, perchè, per gli spagnoli, «El Pacificador» è un grande Re di Spagna, Alfonso XII di Borbone. Ora è davvero Re Carlo e il suo trono sarà ancora Madrid. I baci di Sergio Ramos, leader dello spogliatoio, gli abbracci stritolatori di Marcelo, Ronaldo, Pepe, Xabi Alonso, consumati laddove le telecamere non possono arrivare, testimoniano la sincera fusione di un gruppo d’acciaio: «Con le scelte qualcuno scontento c’è sempre, come Marcelo, ma sapeste quanto è felice ora..». A chi tira in ballo la fortuna per il gol nel recupero di Ramos, risponde con classe e sincerità: «Sono fortunato e non da sabato sera, ma sono anche uno che cerca la via per vincere fino all’ultimo secondo». Più belle le coppe del Milan o questa? «Sono diverse nella loro bellezza. Questa arriva al primo anno di lavoro e per il club rappresentava un traguardo molto sentito». Così, con semplicità, parlò Carletto, che dalla notte di Lisbona, è Re Carlo X e non serve spiegare il perché.

 

di Paolo Franci