di Leo Turrini
QUESTA è una storia strana. Molto privata, ma la racconto volentieri: può valere come monito per ognuno di noi. Bene. Sapete che cos’è Skype? È quel programma che, una volta installato sul computer, permette, via Internet, di telefonare e scambiare messaggi scritti (sms) gratuitamente, se l’interlocutore dispone, a sua volta, di Skype. Inoltre, chiamare numeri fissi o di cellulare è molto meno costoso. Non a caso ottocento milioni di persone usano questo sistema, amatissimo da chi, per lavoro o in vacanza, si trova lontano da casa.


Bene. Narra la leggenda che Skype (recentemente acquisito, per miliardi di dollari, dalla Microsoft di Bill Gates) sia sicurissimo. Blindato. A prova di invasione, infrazione, intercettazione. Ha detto qualcosa del genere, di recente e certo in buona fede, pure il ministro dell’Interno Roberto Maroni.


Ecco, non è vero. Lunedì sera io ho ricevuto una e mail in lingua inglese. Anonima. Il testo diceva: ho violato i tuoi codici Skype, sono in possesso di tutti i dialoghi scritti, quanto sei disposto a pagare per evitarne la diffusione?


HO PENSATO a uno scherzo idiota. Ma martedì è arrivato un nuovo messaggio. Stavolta, in lingua italiana. Stessi contenuti. Infine, giovedì sera la botta finale: la minaccia di divulgare in Rete, cioè su Internet, un dialogo, allegato, da me effettivamente avuto con un’altra persona. Naturalmente, di fronte all’evidenza dei fatti, sono andato alla Polizia. Sono stati gentilissimi e bravissimi. Faranno quello che possono. Partiranno le denunce. Chissà a quali esiti porteranno le indagini.


Ma c’è qualcosa di più importante delle inchieste, qualcosa di cui parlo con franchezza, spero a beneficio di chi legge. Io mi sono sentito stuprato. Violentato. E molto, molto stupido.


Mi sono fidato di chi, per anni e anni, ha raccontato che, online, in particolare su Skype, esisteva una assoluta, impenetrabile riservatezza. Chi mi conosce sa, per giunta, che sono un tipo amante del cazzeggio. Anche dell’erotismo letterario (si fa per dire, eh). Saranno affari (stavo per usare un termine più volgare) miei?


MEGLIO: credevo sarebbero rimasti affari miei. Dolorosamente, scopro che non è, non era così. Ora comprendo lo stato d’animo di chi, tramite intercettazioni ‘legali’, finisce sbattuto sui giornali per faccende, come si scrive con tatto, penalmente irrilevanti. E capisco anche un’altra cosa. Sono nella generazione degli ‘anta’. La rivoluzione digitale ha cambiato la mia esistenza, il mio lavoro, le mie relazioni sociali. Mi sembrava tutto bello, moderno, fantastico. Internet ci ha resi più leggeri, più ‘vicini’ al resto del pianeta. Senz’altro è ancora così, sarà ancora così.


Non per me, però. Di colpo rimpiango la macchina da scrivere Olivetti, il telefono fisso, la libertà non confiscata da un Grande Fratello traditore. Mia moglie, serenamente, mi detto che sono un idiota. Le mogli hanno sempre ragione, perbacco.