Roma, 11 ottobre 2013 - L’ex ufficiale delle Ss Erich Priebke è morto oggi all’età di 100 anni. Ne ha dato notizia il suo legale Paolo Giachini. "Si è spento di vecchiaia ed è stato lucido fino alla fine - ha detto l'avvocato -. E’ stato trovato sul divano, io l’ho sentito in mattinata. La sua morte non sembrava così imminente ma in due o tre giorno ha avuto un crollo improvviso".

"La dignità con cui ha sopportato la sua persecuzione ne fanno un esempio di coraggio, coerenza e lealtà. Il suo ultimo lascito è una intervista scritta e un video, testamento umano e politico", ha dichiarato ancora Giachini, spiegando che non sarà allestita alcuna camera ardente.

"A Bariloche (in Argentina, ndr) c'è un posto per lui accanto alla salma della moglie - ha concluso il legale -. Però è ancora un'ipotesi perché ci sono aspetti burocratici da affrontare".

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IL NAZISTA CHE NON SI PENTÌ MAI - Mai una parola di pentimento per il proprio passato, mai un’espressione di comprensione per le vittime o le loro famiglie. Per tutta la vita Erich Priebke è rimasto fedele a se stesso e a quello che ha fatto: aver partecipato al massacro delle Fosse Ardeatine, aver partecipato fin dai suoi inizi alla campagna di soppressione fisica degli oppositori politici del nazismo voluta da Adolf Hitler in Germania, averla proseguita in Italia fino al giorno stesso dell’arrivo degli americani a Roma il 4 giugno 1944.

LA VITA - La storia dell’”uomo che spuntava la lista” inizia in un sobborgo di Berlino, negli anni immediatamente successivi alla disfatta nella Prima Guerra Mondiale. Famiglia modesta, studi in un istituto alberghiero, un primo soggiorno a Londra ed uno a Sanremo, come cameriere. Sembra che tutto inizi di lì, dall’amicizia con un maestro di sci che lo introduce al verbo del nazionalsocialismo. Lui, Priebke, sostiene invece di essere sempre stato un uomo come tanti, un semplice esecutore di ordini, uno che il poliziotto lo faceva perché doveva sbarcare il lunario e, in fondo, si trattava di un mestiere onorevole. Dalla polizia di Berlino, però, confluì subito dopo nella Gestapo, la polizia segreta del regime.

Erich Priebke venne inquadrato nel Gestapa ('Geheim Staatspolizei Amt'), l’ufficio preposto all’individuazione ed alla schedatura degli oppositori del regime nazista. Si trattava soprattutto di comunisti, cattolici e socialdemocratici. A partire dal 1937 le SS, cui Priebke aveva nel frattempo aderito, iniziarono a rastrellarli. Finirono, a decine di migliaia, nel primo campo di sterminio del regime, quello di Sachsenhausen.

Sempre nel 1937 Erich Priebke dette una duplice svolta alla propria vita: sposò la ragazza di cui era innamorato e se ne andò a Roma, a fare da interprete ad Adolf Hitler in persona in occasione della visita ufficiale da Mussolini. A Roma sarebbe tornato un anno dopo, questa volta in pianta stabile, alle dipendenze di Villa Wolkonski, l’ambasciata tedesca presso il Regno d’Italia. Qui conobbe l’uomo al quale il destino lo avrebbe legato: Herbert Kappler, giovane ufficiale delle SS anche lui, anche se di un grado superiore. Cosa facessero in realtà i due a Roma non si sa bene. Si sa che ad un certo punto un autorevole esponente della nobiltà nera romana gli affittò per pochi soldi una palazzina, uso ufficio, in via Tasso, nei pressi di San Giovanni. Qui, dopo l’8 settembre, i capi della Resistenza romana venivano portati, torturati, qualche volta costretti a confessare. Spesso morivano. In fondo lo stesso mestiere, per Priebke, dei tempi del Gestapa.

L'ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE - Priebke e Kappler stavano percorrendo a piedi la breve strada che unisce Villa Wolkonski a Via Tasso, il 23 marzo 1944, quando seppero dell’attentato partigiano a Via Rasella in cui morirono 33 tedeschi. Hitler ordinò prima la distruzione di Testaccio e San Lorenzo, poi si optò per la rappresaglia del 10 a 1: dieci fucilati per ogni tedesco ucciso. A fare la lista, nel corso di una notte, fu Kappler, mentre Priebke batteva a macchina. Si scelse prima tra i Todeskandidaten, quelli che tanto avrebbero dovuto morire comunque. Non bastavano: si decise di svuotare tutto il carcere, lasciando quelli le cui confessioni eventuali potevano servire al lavoro di intelligence politica. Ma a morire dovevano essere in 330 e anche così la lista non era completa. C’erano degli ebrei appena rastrellati, tra cui i sette Spizzichino. Sul camion, anche loro. Ma ancora restavano dei posti vuoti.

Kappler e Priebke andarono dal prefetto repubblichino di Roma, Caruso, che consegnò una serie di criminali comuni, o solo gente in normale stato di fermo. Alla fine sui camion finirono in 335, contro i 330 inizialmente previsti. L’organizzazione di Via Tasso aveva funzionato anche troppo efficacemente. Nemmeno 24 ore dopo l’attentato di Via Rasella quattro camion partirono da Via Tasso e Regina Coeli, presero l’Appia Antica e girarono a destra, sull’Ardeatina. Qui c’erano delle vecchie cave di tufo, utilizzate l’ultima volta alla fine dell’Ottocento. I prigionieri vennero fatti scendere, legati gli uni agli altri per le mani, a gruppi di cinque. Priebke spuntava i loro nomi dalla lista. Loro entravano nella grotta, si avvicinavano cinque SS, puntavano il fucile alla nuca e sparavano. Agli ufficiali toccò il primo turno di prigionieri: dovevano spronare la truppa a fare altrettanto. Una volta eliminato un gruppo di condannati, il successivo entrava, era costretto a salire sui corpi di quanti erano già stati uccisi, poi le cinque SS appoggiavano la canna del fucile alla nuca e sparavano. Gli ultimi entrarono che quasi non c’era più posto: la catasta dei morti arrivava fino al soffitto. Furono costretti a salire fino in cima. Uccisi anche loro, i nazisti se ne andarono facendo saltare l’ingresso della cava. Non mancarono di buttarci davanti un mucchio di immondizia, per coprire l’odore.

Il massacro venne scoperto, tempo dopo, da un gruppo di bambini che si era avventurato nella zona per giocare. Al processo, cinquant’anni dopo i fatti, Priebke si difenderà dicendo di essersi limitato a spuntare i nomi dalla lista. Ma già Kappler, che nell’Italia del dopoguerra era stato arrestato, condannato, ricoverato al Celio e che aveva fatto in tempo a fuggire con l’aiuto della moglie per morire libero in Austria, aveva confermato che anche gli ufficiali avevano sparato.

L'ARRIVO DEGLI ALLEATI - Il 3 giugno successivo si sparse la voce che gli Alleati erano alle porte di Roma. Per tutta la notte gli abitanti del quartiere San Giovanni videro alzarsi lunghe lingue di fuoco dal giardino retrostante la prigione di Via Tasso: erano Priebke a Kappler che bruciavano le carte dell’archivio. La mattina susseguente gli americani entrano dall’Appia e dalla Casilina, loro fuggono dalla Cassia, verso nord e si dividono. Priebke continuerà nella sua opera prima a Verona e poi a Brescia.

LA FUGA IN ARGENTINA - Dopo la guerra Priebke sparì di circolazione. Finì a Bolzano, dove si fece battezzare da cattolico, poi con un passaporto ottenuto probabilmente grazie alla complicità di Monsignor Hudal (il parroco della Chiesa di Santa Maria della Pace a Roma, che per questo genere di attività non venne mai ricevuto in Vaticano da Pio XII) si imbarcò a Genova su una nave diretta a Buenos Aires. Qui il cerchio sembra chiudersi, perché Priebke torna al mestiere di gioventù: un giornalista italiano lo incrocia per caso, nel 1954, in un bistrò della capitale argentina. Serve ai tavoli. Pochi anni dopo si trasferisce con tutta la famiglia a San Carlos de Bariloche, in mezzo alle Ande argentine che proprio in quegli anni ispirano a Walt Disney la meravigliosa foresta di Bambi. Inizia una nuova vita, trova la prosperità, possiede una clinica privata.

La mattina del 12 maggio 1994 una troupe americana lo ferma per la strada. "E’ lei Erich Priebke?", chiede Sam Donaldson della Abc. "Sì", risponde lui. E’ il momento dei conti con la storia. Il doppio processo in Italia si conclude con la condanna ad una lunga pena detentiva, da scontare agli arresti domiciliari. Lui viene ospitato sulle prime in un convento, poi il suo procuratore lo porta a casa sua, in un piccolo appartamento di un quartiere romano. E’ la metà di un dicembre di qualche anno fa. I vicini di casa lo accolgono con uno striscione sulla facciata del palazzo: "Buon Natale, assassino".

IL PROCESSO - Fu arrestato ed estradato in Italia nel 1995 e imputato di concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani. Il Tribunale militare ordinò la scarcerazione dichiarando il "non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione". La Corte di Cassazione, però, annullò la sentenza e dispose un nuovo processo a suo carico. Nel marzo 1998, la Corte d’appello militare lo condannò all’ergastolo. A causa dell’età avanzata, però, l’ex SS ottenne gli arresti domiciliari, scontati in un appartamento alla periferia nord di Roma.

I 100 ANNI - Il 29 luglio scorso l’ex ufficiale nazista responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine ha compiuto 100 anni. Tensioni e parapiglia ci furono sotto la sua casa in zona Boccea (FOTO). Sotto l’abitazione dell’ex capitano delle SS naziste, i manifestanti esposero diverse bandiere di Israele con la stella di David e alcuni manifesti con scritto "Lui può festeggiare il suo compleanno, le sue vittime no". Sulle auto del quartiere su altri volantini c’era scritto "Quando si è assassini l’età non conta. Diciamo no alle feste di compleanno per l’assassino nazista". Poi la commossa lettura dei nomi delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine, pronunciati al megafono.

LE REAZIONI

I PARENTI DELL'EX SS - Si sono chiusi nel silenzio i familiari dell'ex ufficiale nazista. Jorge Priebke, 68 anni "è molto triste e non vuole ricevere nessuno", riferisce il giornale DeBariloche che ha parlato con la moglie. "E' molto colpito e per ora non parlerà alla stampa", ha detto la donna. Anche Ana, una delle figlie di Jorge e nipote dell'ex SS, non ha voluto parlare. "Ma le pare che questo è un momento per fare commenti? Sono molto addolorata, non dico altro, grazie per la telefonata", ha detto all'Ansa.

ANPI - "Non posso dire che piangerò. E’ morto un assassino che ha ucciso più persone di un serial killer, che non si è mai pentito di quello che ha fatto e che peraltro ha vissuto una vita lunghissima in parte anche felice - commenta Francesco Polcaro, presidente dell'Anpi (Associazione nazionale partigiani d'Italia) -. Mi auguro solo che le autorità non permettano che i funerali di questa persona si trasformino in una manifestazione di apologia del nazismo. Per i partigiani resterà sempre un feroce assassino e un nazista".

LA COMUNITA' EBRAICA DI ROMA - "Esistono delle certezze nella religione. Quelli delle Fosse Ardeatine sono degli angeli e si occuperanno di lui per l’eternità. Priebke farà i conti con loro nell’altro mondo", dice invece Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma. "E’ difficile provare emozione di fronte alla morte di un criminale - continua - un soggetto che nell’arco della sua vita, e qui rimane l’amarezza, non ha mai mostrato nessun momento di cedimento e non ha mai confessato i suoi peccati di gioventù. Non si è mai pentito delle azioni criminali, non ha mai avuto pietà per le sue vittime e neanche per i loro familiari”. "Io personalmente oggi non riesco nè a ridere nè a piangere", conclude Pacifici.

I PARENTI DELLE VITTIME - "La morte di Priebke è certamente conseguenza della tarda età ma va sottolineato che questo uomo è arrivato fino a 100 anni senza mai mostrare non solo un segno di pentimento ma neanche di ripensamento per quello che ha fatto - ricorda l’avvocato Giancarlo Maniga, difensore di numerose famiglie che si costituirono parte civile nel processo per il massacro delle Fosse Ardeatine -. Nel dibattimento Priebke si difese dicendo di aver eseguito degli ordini e di aver agito coerentemente con la sua posizione di militare". "Quando Priebke si lamentava di essere vittima della giustizia italiana perché ormai anziano - prosegue Maniga - i miei assistiti replicavano in maniera brutale che le persone trucidate alle Fosse Ardeatine non avevano avuto neanche la fortuna di invecchiare come ha fatto lui. Diciamo che gli aspetti umanitari valgono per qualsiasi persona condannata all’ergastolo ma di fronte alla gravità della tragedia di cui è stato artefice, non c’è dubbio che la lunga detenzione domiciliare subita da Priebke sia stata una inevitabile conseguenza di quanto commesso".

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