Roma, 18 settembre 2013 - Evitare l'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22% dal primo ottobre pare inevitabile. Lo ha ammesso il ministro Sacomanni durante l'incontro con Olli Rehn.

Inizia così la grande battaglia: il Pdl torna all'attacco e neanche il Pd si risparmia. Confcommercio lancia l'allarme: l'aumento amplierebbe il crollo dei consumi e farebbe impennare i prezzi.

Spunta allora la proposta dell viceministro dell'Economia Stefano Fassina. Per evitare l’aumento dell’Iva "rivediamo l’intervento sull’Imu. Confermiamo la cancellazione per il 90% dei proprietari e lasciamo contribuire il 10% delle abitazioni di maggior valore", dice spiegando che così si recuperano 2 miliardi, da usare anche per la deducibilità per i capannoni.

BRUNETTA - "Il premier smentisca che il governo ha intenzione di aumentare l’Iva ad ottobre". A chiederlo a gran voce è Renato Brunetta, capogruppo alla Camera. "E’ bastata la visita di un giorno a Roma del commissario per gli Affari economici e monetari dell’Ue, Olli Rehn, con le sue inopportune dichiarazioni, - afferma - che tutti adesso reputano inevitabile l’aumento dell’Iva a ottobre (pare che anche qualcuno all’interno del governo se ne sia convinto)".

"Eppure, gli impegni del presidente del Consiglio, Enrico Letta, nel discorso su cui ha ottenuto la fiducia delle Camere lo scorso 29 aprile - ricorda - erano chiari: ‘ rinunciare all’inasprimento dell’Iva’; ‘ superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa’; ‘ generale riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale’".

Brunetta sottolinea che si tratta di "Provvedimenti complementari l’uno all’altro e non alternativi.
Per i quali, tra l’altro, il Popolo della libertà ha fornito al governo ipotesi di copertura più che sufficienti. A questo punto - conclude - la risposta spetta solo a Enrico Letta e non a inutili epigoni del Partito democratico o di Scelta Civica. Siamo convinti che il presidente del Consiglio onorerà gli impegni presi".

Poi Brunetta aggiunge: "Gli accordi di maggioranza prevedevano che non aumentasse l’Iva ad ottobre, e così sarà. Altrimenti non ci sarà più la maggioranza".

GASPARRI - Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, lo segue a stretto giro. "E’ un dovere del governo evitare l’aumento dell’Iva. Se si proseguisse con questa scelta ottusa i consumi e le spese di famiglie e imprese diminuirebbero, e gli incassi dello Stato crollerebbero. Sarebbe un suicidio seguire l’arroganza di eurocrati che vengono nel nostro Paese a dettar legge dopo aver fatto danni in Europa. Cambiamo strada subito".

SPERANZA - Al pressing del Pdl si unisce anche il Pd. "Sarebbe un duro colpo per le famiglie e le imprese e finirebbe per deprimere ulteriormente i consumi. Mi auguro che il governo faccia tutto il possibile per scongiurare tale aumento", dice il capogruppo Pd alla Camera Roberto Speranza.

CONFCOMMERCIO - Impatto sui consumi che amplifica il crollo stimato a fine anno a -2,4%, con una riduzione ulteriore dello 0,1%; incremento dei prezzi, tra ottobre e novembre, di +0,4%. La perdita di produzione comporterebbe, a regime, una riduzione di 10 mila posti di lavoro. Sono gli effetti dell’aumento Iva previsti da Confcommercio.

"In una situazione già di estrema difficoltà per le imprese del commercio, gravate da una pressione fiscale da record mondiale e dal mancato pagamento dei debiti della P.a, un’ulteriore contrazione della domanda interna porterà alla chiusura di molte attività" dice l’ufficio studi secondo il quale risulteranno piu’ penalizzate le famiglie a basso reddito in quanto la pressione Iva (rapporto tra Iva pagata e reddito) per il 20% di famiglie più povere arriverebbe al 10,5%, mentre per il 20% di famiglie più ricche sarebbe del 7,5%, circa il 30% in meno.

Sui prezzi inoltre, in una situazione in cui l’inflazione è sostanzialmente sotto controllo, si avrebbe il cosiddetto "effetto scalino", con inevitabili effetti di trascinamento anche nel 2014; nel dibattito attuale si dimentica quanto accaduto nel 2012: se, in termini di caduta dei consumi, è stato l’anno peggiore della storia repubblicana, ciò è stato dovuto anche all’incremento dell’Iva avvenuto a metà settembre 2011. "Perché dunque ripetere lo stesso errore dal primo ottobre?", si chiede l’ufficio studi.

Da non sottovalutare anche l’impatto sul gettito: "Come già accaduto con l’aumento dell’aliquota dal 20 al 21%, la contrazione della domanda porterebbe con sé anche una riduzione del gettito Iva atteso".
"E’ evidente, dunque, - afferma la Confcommercio - che l’aumento dell’aliquota e’ un’ipotesi che va definitivamente scongiurata perché questa misura, anche alla luce dei primi timidi segnali di ripresa che non hanno pero’ ancora interessato l’economia reale, sarebbe davvero esiziale per famiglie e imprese gia’ stremate da una crisi senza precedenti compromettendo la ripresa dei consumi e il conseguente consolidamento del quadro economico". Il seme della ripresa è stato piantato grazie a tre provvedimenti: accelerazione dei pagamenti della P.A., cancellazione della prima rata dell’Imu e rinvio dell’incremento dell’aliquota Iva di giugno. Se si dovesse cambiare idea e tornare indietro rispetto a questa linea di azione non vedremo mai i germogli di ripresa.

CODACONS - Anche il Codacons lancia l'allarme: l’aumento dell’Iva rischia di essere "un suicidio" per i conti pubblici con un nuovo calo del gettito fiscale, visto che il calo dal primo incremento dell’Iva (nel 2011) a oggi sarebbe di 6,5 miliardi di euro. Il gettito Iva - sottolinea l’associazione dei consumatori - "nei primi 7 mesi dell’anno è già calato del 5% (-2.944 milioni). La ragione è nella riduzione degli scambi interni. Dal settembre 2011 - ossia da quando c’e’ stato il primo incremento dell’aliquota dal 20 al 21% - alla fine del 2012, il calo del gettito Iva è stato di 3,5 miliardi. Il crollo complessivo, quindi, dal primo incremento dell’aliquota ad oggi, è stato di quasi 6,5 miliardi di euro. E’ di tutta evidenza, perciò, che se l’Iva salisse ulteriormente al 22%, il gettito scenderebbe ulteriormente". 

DEF - Intanto il governo conferma che alla fine dell’anno l’Italia rispetterà l’impegno di restare entro il 3% del rapporto deficit/pil. Secondo quanto si apprende da fonti del governo, il Def che approderà venerdì al Consiglio dei ministri vedrà una stima del deficit per il 2013 tra il 3% e il 3,1% (in peggioramento rispetto al 2,9 stimato) e sarà accompagnato dalla programmazione di una serie di misure di contenimento che non dovrebbero comportare una vera e propria manovra di bilancio.

Lo stesso ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni aveva riferito, al termine dell'Ecofin della scorsa settimana a Vilnius, che eventuali scostamenti rispetto all'obiettivo di deficit al 2,9% sarebbero "minimi" e comunque "gestibili" con interventi già programmati, lasciando così intendere che non è in cantiere alcuna manovra-bis. Nel 2014, il deficit/Pil migliorerà al 2,4%. Per il Pil quest’anno la previsione peggiora a -1,7%, ma il prossimo anno dovrebbe migliorare fino a +1%. La manutenzione del bilancio è stimata al momento in 0,15 punti.