Washington, 27 maggio 2012 - Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riunito di emergenza sulla crisi siriana, si è concluso con la lettura di una dichiarazione congiunta in cui viene “condannato il governo sirianao per il massacro di Hula”, che tra venerdì e sabato ha causato almeno 108 morti (tra cui almeno 32 bambini).

I Quindici hanno anche avvertito che i responsabili del massacro “saranno chiamati a risponderne”. Nel testo letto alla fine della riunione viene condannato in particolare, e quindi riconosciuto, “l’uso di armamenti pesanti da parte del governo siriano nell’attacco di Hula”.

La dichiarazione, approvata all’unanimità dai Quindici, inclusa quindi la Russia, il principale alleato di Damasco che finora aveva fermato qualsiasi condanna di Assad, in particolare sostiene che gli attacchi “hanno coinvolto il bombardamento di una zona residenziale di Hula, “da parte dell’artiglieria e dei carrarmati giovernativi”. Il testo ribadisce la richiesta del ritiro delle armi pesanti dalle città siriane, come previsto dall’inefficace piano di pace di Kofi Annan.

LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO ONU -  Il generale norvegese Robert Mood, comandante della missione degli osservatori Onu in Siria, è intervenuto durante la riunione riferendo il bilancio aggiornato delle vittime. Mood ha poi aggiunto che i morti mostrano segni di colpi di “schegge” di granata e di colpi d’arma da fuoco sparati a “bruciapelo”.  Ma la Russia ha preso la parola per sostenere di non ritenere il regime di Bashar el Assad responsabile della strage. Mosca si oppone a una nuova condanna da parte delle Nazione Unite, chiesta con insistenza da Londra e Parigi. Il ministro degli Esteri britannico William Hague è pure volato a Mosca per convincere la Russia ad appoggiare un'azione internazionale contro Damasco. Quindi l'epilogo e la 'sentenza' di condanna per il governo siriano.

IL BILANCIO DEL CONFLITTO  Intanto, mentre l'Osservatorio dei diritti umani riferisce di 13 mila le vittime del conflitto civile in Siria, il New York Times svela il presunto piano di Obama: transizione morbida con esilio per Assad.  La Casa Bianca si dice "inorridita" dalla strage di Hula che condanna duramente in via ufficiale: "Atto vile di un regime illegittimo".

IL PIANO DI OBAMA - Secondo il New York Times online, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è favorevole a una soluzione alla 'yemenita' per risolvere la crisi in Siria, cioè con una transizione morbida premendo per la partenza del presidente Bashar al-Assad, ma lasciando parte del governo al potere.

La proposta verrà illustrata dallo stesso Obama al presidente russo Vladimir Putin quando si incontreranno il mese prossimo. La Russia si oppone fino ad ora a qualsiasi cambiamento di regime ed auspica una soluzione negoziata tra governo e ribelli.

Il piano Obama prevede una soluzione politica negoziata che possa soddisfare l’opposizione, lasciando però al potere parte del governo di Assad. L’obiettivo della Casa Bianca è di mettere in piedi una transizione simile a quello in corso nello Yemen.

Dopo mesi di violenze il presidente Ali Abdullah Saleh ha accettato di lasciare il potere cedendo il controllo del paese al suo vice Agbdu Rabbu Mansour Hadi, attraverso un accordo negoziato con i paesi arabi vicini. Hadi, pur essendo in seguito stato eletto, viene percepito come un leader di transizione.

I RIBELLI ANNUNCIANO RAPPRESAGLIE - I disertori dell’Esercito siriano libero (Esl), citati dalla Cnn, annunciano rappresaglie contro i militari fedeli al presidente Bashar al Assad, perché "non è più possibile rispettare il piano di Pace di Kofi Annan, utilizzato dal regime per perpetrare massacri contro la popolazione disarmata".

RUSSIA E COREA DEL NORD FORNISCONO ARMI AD ASSAD - Indifferenti alle sanzioni Onu e ai massacri dei civili Russia e Corea del Nord continuano a mandare armi e munizioni al regime siriano. Lo riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, secondo le quali i carichi di armi sono pagati da Teheran. Due navi cargo, la nordcoreana Odai da 5mila tonnellate, e la russa Professor Katsman sono attese oggi nei porti siriani di Latakia e Tartus.