Roma, 8 aprile 2013 - Compromesso storico, non sfiducia: ma come fu il governo del 1976 cui si è riferito oggi il presidente Napolitano? Ecco una scheda per ricordare i fatti - e il clima - di oltre 35 anni fa.

Due partiti alla pari, un sistema bloccato (anche per motivi di politica internazionale), una soluzione sofferta ma non priva di originalità. Tanto da meritare la nascita di un neoligismo coniato, guarda caso, da Giulio Andreotti. Questo: governo della non sfiducia. Un capolavoro di quella macchina scalcagnata e sempre da rattoppare che è la democrazia italiana, che in quell’anno sembrò veramente ad un passo dall’entrare in un blocco irreversibile.

Tutto incomincia con un’elezione riuscita male: nessun vincitore chiaro con la Dc al 38 percento ed il PCi al 34. La campagna elettorale del giugno 1976 è dominata dal tema del probabile sorpasso dei comunisti ai danni della DC. Dopo il successo delle forze di sinistra nelle amministrative dell’anno prima, si ripropongono agli elettori come unico baluardo contro il “pericolo rosso”. I socialisti, invece, continuano a presentarsi agli elettori nella duplice veste di alleati di governo del partito cattolico e al tempo stesso possibile alternativa proprio ai democristiani.

Il PCI di Berlinguer, infine, continua a caldeggiare l’ipotesi di un “compromesso storico”, cioè della rinascita della coalizione antifascista e di un governo di “unità democratica”, per fronteggi il momento di crisi gravissima. Fa la sua comparsa il Partito Radicale di Marco Pannella, che è protagonista in quegli anni delle principali battaglie sul divorzio e l’aborto.

Il risultato elettorale sancisce una netta affermazione del PCI, che mai aveva ottenuto tanti voto, e lo promuove unico partito di opposizione, espressione non più della sola classe operaia ma di un ampio bacino elettorale che abbraccia anche frange più progressiste del ceto medio. Il previsto sorpasso ai danni della DC pero’ non si realizza perchè il partito di ispirazione cristiana recupera larga parte dei consensi che aveva perso alle amministrative del 1975.

Sconfitto invece il PSI, che raggiunge il suo minimo storico, cosi’ come i piccoli partiti alleati di governo della DC, ad eccezione del PRI, che subiscono un drastico ridimensionamento.

Il sistema politico italiano, a questo punto, raggiunge la sua massima bipolarizzazione e la DC non puo’ governare nè alleandosi col PSI, che dopo la batosta elettorale vive un momento di crisi interna, nè appoggiandosi ai piccoli partiti suoi tradizionali alleati, anch’essi ridimensionati dal risultato delle urne. L’unica soluzione, dunque, è quella di affidare la guida del Paese ad una vasta alleanza, cioè ad un governo di solidarietà nazionale.

Ma non da subito, poichè l’ingresso del PCI al governo sarebbe difficile da far digerire non solo ai democristiani, ma anche agli americani. Per credere si prenda l’ultimo numero de “L’Espresso” e si leggano i documenti pubblicati in materia.
Nasce cosi’ il governo monocolore guidato da Andreotti, detto “governo della non-sfiducia”, grazie all’astensione del Pci. Per la prima volta dai tempi del CLN, dunque, i comunisti entrano nell’aria di governo, sia pure non direttamente ma solo sul piano parlamentare. è la fine della “conventio ad excludendum”, o almeno ci somoglia moltissimo.

Il governo di solidarietà nazionale nasce, in primo luogo, per fronteggiare la gravissima situazione che il Paese sta vivendo sul fronte dell’ordine pubblico a causa del terrorismo, ma è anche funzionale alla strategia politica dei due principali partiti. I dirigenti comunisti, infatti, sanno bene - anche se non mancano remore e dubbi interni - che il rilancio della coalizione antifascista è l’unico modo per rientrare al governo, poichè la natura stessa del sistema politico italiano rende assai improbabile la vittoria elettorale di una coalizione di sinistra. La DC, dal canto suo, deve fronteggiare la preoccupante crescita dei comunisti frutto - come già detto - non solo del voto dei diciottenni, ma anche di simpatie sempre maggiori che essi stanno conquistando nel ceto medio.

Il Governo Andreotti III alla fine ottiene 137 si’ e 17 no al Senato (su 315), alla Camera 258 si’ e 44 no (su 630). Si presume che quella fu la prima volta che Andreotti abbia pensato: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Uno slogan che lo accompagnerà fino all’esperienza del 1989-1992.

Le conseguenze di quell’anno comunque furono anche altre. I socialisti mandarono in soffitta la liena lombardiama e la generazione dei De Martino. Il 13 luglio, all’Hotel Midas di Roma prende il sopravvento un giovanotto milanese di belle speranze, tale Bettino Craxi. A Roma il 9 agosto nasce la giunta rossa di Giulio Carlo Argan. Nella Dc arriva alla presidenza Aldo Moro. Tra gli altri astri nascenti: Luciano Violante, che fa arrestare Edgardo Sogno per tentato colpo di stato (Sogno in punto di morte ammetterà); Benigno Zaccagnini, segretario della Dc contro Arnaldo Forlani; lo stesso Enrico Berlinguer.

Un astro già affermato, ma questo è l’anno in cui parla al XXVcongress del Pcus e, tra l’orrore generale, teorizza l’importanza del nesso tra socialismo e rispetto delle libertà individuali. L’inizio di una rivoluzione copernicana.

(Agi)