CITTÀ DEL VATICANO, 14 agosto 2012 -  Il primo atto dell’ indagine sul maggiordomo del Papa è concluso, ma solo parzialmente. La sentenza di rinvio a giudizio di Paolo Gabriele contiene infatti diverse zone d’ombra. La pubblicazione della stessa sentenza, peraltro, è stata avvolta da un piccolo mistero.

Il documento che ha concluso l’istruttoria doveva essere pubblicato la scorsa settimana, poi è stato rimandato di giorno in giorno. Formalmente a causa della meticolosità dei magistrati vaticani, ma nei corridoi del Palazzo apostolico si è iniziato a parlare di tentativi di insabbiamento, pressioni, telefonate concitate e limatura di un testo che, nella sua versione originale, avrebbe potuto creare problemi a molte persone.

Alla fine i due documenti — la requisitoria del pm e la sentenza di rinvio a giudizio del magistrato istruttore — sono stati pubblicati integralmente. O quasi. I nomi dei testimoni ascoltati in questi mesi dagli inquirenti vaticani sono stati coperti da omissis. Al loro posto, i due dispostivi giuridici presentano lettere alfabetiche — A, B, M, X, Y… — che potrebbero nascondere personalità vaticane o cittadini italiani, semplici testi o possibili complici del ‘corvo’.

La scelta è stata dettata da un «principio di correttezza e riservatezza», ha precisato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, da sempre attento, con atteggiamento garantista, a non dare in pasto ai giornali nomi di persone toccate solo tangenzialmente da una inchiesta così delicata.

Già nelle scorse settimane, quando un giornale tedesco aveva fatto i nomi di tre ex collaboratori di Ratzinger — l’ex governante Ingrid Stampa, l’ex segretaro Josef Clemens e l’ex ghostwriter Paolo Sardi — il gesuita aveva smentito che fossero indagati. Né aveva confermato i rumors dei Sacri palazzi, secondo i quali Paolo Gabriele sarebbe stato aiutato da qualche giornalista italiano. La vicenda, del resto, non è facile.

Gli stessi magistrati vaticani hanno scritto nero su bianco che le indagini «non hanno ancora portato piena luce su tutte le articolate e intricate vicende che costituiscono l’oggetto complesso di questa istruzione». Solo una parte dei documenti fotocopiati da Paolo Gabriele, poi, è stata pubblicata.

E, soprattutto, le toghe vaticane hanno chiuso l’istruttoria «limitatamente al solo reato di furto aggravato», lasciandola dunque «aperta» per «i restanti fatti costituenti reato nei confronti dei predetti imputati e/o di altri». Se è accertato che a rubare i documenti è stato il maggiordomo, insomma, non è affatto chiaro chi sono i suoi complici e perché lo hanno aiutato a portare quel materiale fuori dal Vaticano. Le zone d’ombra sono molte. Le indagini continuano.