Nino Femiani

POMPEI (Napoli), 23 giugno 2014 - ARRIVATI da mezzo mondo per ammirare una delle meraviglie delle antichità. Giunti da ogni continente per guardare quei ruderi ‘congelati’ dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. E, invece, sono rimasti fuori ai cancelli d’ingresso, sotto il sole e per ore. In cinquecento hanno dovuto attendere fino alle 10,30 per entrare negli Scavi di Pompei, bloccati da una protesta sindacale a oltranza promossa da Cisl, Unsa, Filp e Usb di Pompei. E, ai cinquecento coraggiosi che hanno sfidato la canicola (alle dieci il termometro già segnava i trenta gradi), è andata anche bene. Spinti da un tardiva resipiscenza, i sindacati hanno deciso di mettere fine dopo due ore – appunto alle 10,30 – all’assemblea sindacale che doveva protrarsi alle 12,30. Un gesto che loro definiscono di «responsabilità». Ecco cosa dice Antonio Pepe, della Cisl degli Scavi: «Le organizzazioni sindacali hanno ritenuto opportuno anticipare alle ore 10,30 l’apertura degli Scavi di Pompei ed Ercolano. Una decisione assunta all’unanimità per evitare che le responsabilità dell’amministrazione ricadano sull’utenza che va rispettata. L’obiettivo delle organizzazioni sindacali è di migliorare la fruibilità del sito».

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MA DA OGGI
potrebbe andar peggio, visto che gli stessi sindacati hanno annunciato blocchi di quattro ore fino a giovedì 26 giugno, sempre con le analoghe modalità: 8,30-12,30 in modo da bloccare davanti agli ingressi le migliaia di turisti scaricati dalle navi da crociera nel porto di Napoli. Pompei ed Ercolano (l’astensione riguarda tutta la soprintendenza) costituiscono la più allettante escursione dei crocieristi nel Mediterraneo. Non è un caso che gli Scavi di Pompei siano visitati ogni anno da oltre due milioni di persone. Ma da cosa scaturisce la lotta dura dei dipendenti? A scatenare la protesta sarebbero eccessivo carico di lavoro, lo stop alla chiusura settimanale, l’anticipo di mezzora dell’apertura mattutina e, soprattutto, come è ovvio, un problema di soldi. I sindacati lamentano i mancati incentivi e il tardivo pagamento di alcune spettanze arretrate. Così, mentre se ne restano a discutere per ore nell’Auditorium, migliaia di turisti bivaccano sconsolati davanti alle rovine «chiuse per sciopero».

NON SI CONTANO gli appelli al governo. A febbraio scorso, quando un bus con 50 turisti cinesi fu dirottato su Amalfi per riempire la giornata rovinata dalla protesta sindacale, il presidente della Commissione nazionale per l’Unesco, Giovanni Puglisi, fece un appello all’allora premier Enrico Letta, perché «questi scioperi sono un grave danno per il Paese». Ieri l’Osservatorio Patrimonio culturale ha inviato un sos al ministro Franceschini ricordandogli che le ragioni delle proteste sono le stesse da sempre e di semplice soluzione: «Da decenni si evidenzia la sproporzione inammissibile tra le ordinarie rivendicazioni dei lavoratori e i danni incalcolabili, in termini economici e di reputazione dell’Italia, che derivano dalla chiusura degli scavi».